Settanta. Passano per la Caritas in via Mascagni, provano a forzare la mano fermandosi lì. Ma non è possibile. Poi, messe al sicuro le poche cose che hanno, puntano dritti in piazza Duomo. E si mettono a sedere davanti all’ingresso della prefettura. Un sit-in spontaneo. Qualche cartello dal contenuto chiaro. Sempre lo stesso: "We need camp in Siena". Firmato ’senza tetto’. Il parcheggio ’Il Duomo’ non era il massimo ma almeno rappresentava un riparo. Adesso sono in strada. Con la pioggia. Perché il sistema dell’accoglienza è saturo in città e provincia e, soprattutto, la maggior parte di loro è ’dublinante’. Vale a dire richiedente asilo che, dopo avere presentato domanda di protezione nel primo Stato in cui è stato identificato secondo le procedure del Regolamento Dublino II del 2003, si è spostato facendo una nuova richiesta di asilo. Non hanno diritto, sembra, a stare in un Cas.
Sono tanti davanti alla prefettura. Arriva la polizia, dalla digos alla Mobile. Non mollano di un centimetro, però. Le forze dell’ordine chiedono a più riprese di parlare con un rappresentante. Una voce con cui interfacciarsi e che trasmetta il messaggio agli altri. Non possono restare lì, davanti alla prefettura. Ma loro chiedono un tetto sulla testa. "Sono nove mesi che attendo risposta", dice un pakistano mostrando quello che c’è scritto nel cellulare. Passa suor Nevia con un’altra sorella, riconoscono subito il volto della religiosa che è l’anima della mensa di San Girolamo. La salutano, lei si ferma. "Vengono da noi a mangiare, oggi (ieri, ndr) saranno stati un’ottantina. Ma non posso farli restare oltre l’orario, dobbiamo rimettere in ordine", dice. "Loro sono i miei ’amici’", prosegue spiegando che alla sua porta bussano sempre più persone, anche senesi.
Il dialogo polizia-pakistani prosegue. Arriva anche una macchina dell’esercito ma tutto è sotto controllo. E, alla fine, intorno alle 18 il nutrito gruppo di migranti si disperde. Non si sa dove passeranno la notte, sicuramente in ripari di fortuna. Ma può andare bene per qualche giorno, occorre una soluzione.
"Cosa può fare la Caritas adesso? In realtà stiamo facendo già da molto tempo un grande lavoro. Abbiamo accolto due anni e mezzo fa il gruppo dei pakistani allestendo il dormitorio arricchito di altri spazi fino a mettere a disposizione anche il garage delle clarisse. Ma la situazione - spiega don Vittorio Giglio, responsabile della Caritas – era diventata insostenibile. Un centinaio le presenze ad agosto. I tre bagni chimici non bastavano, il problema igienico evidente. Di conseguenza, d’accordo con le istituzioni, non abbiamo accettato più nessuno per rendere il quadro più agevole. Al momento ne ospitiamo 27 nel dormitorio di via Mascagni più 8 ad Arbia". Normale che, quando all’ora di pranzo ieri c’è stato lo sgombero del posteggio, i settanta pakistani abbiano puntato dritto sul garage delle clarisse che sentono quasi cosa loro. "Quando sono arrivati ero solo, poi ho chiamato gli altri operatori e si è fermato anche il cardinale. Abbiamo cercato di mediare e di convincerli che lì non possono stare perché ci mettono veramente male. Siamo stati costretti a chiudere adesso il garage con delle reti, dopo che oggi (ieri, ndr) hanno scavalcato il cancello portando coperte e materassi tolti dal posteggio Il Duomo. E’ stato necessario gestire la cosa. Facciamo i salti mortali, ci metteremo a disposizioni delle istituzioni nell’ambito di un percorso condviso, come sempre. Ma - conclude don Giglio - non si può pensare che la risposta della Caritas sia la soluzione che va trovata altrove".
Laura Valdesi