di Laura Valdesi
SIENA
Metti il ’mal d’Africa’. La nostalgia che suscitano i profili, i colori, gli odori di quella terra quando se ne resta lontani. Aggiungi uno "spirito libero" che desidera scoprire. Innovare con la sapienza di chi ama le cose preziose, che non vuol dire solo belle ma anche ricche di cuore. E passione. Solo così ci si può avvicinare "al mondo piccante" di Nicoletta Cardin. Termine coniato dalla stessa artigiana, milanese di origine ma ormai senese d’adozione, che ha creato una linea di gioielli singolari, utilizzando i suoi amati peperoncini. Quelli che si usano per rendere più appetitosi e piccanti i cibi. Sì, tutto vero. Basta affacciarsi nella bottega di via Cecco Angiolieri per scoprire, appunto, cosa vuol dire made in Italy. Anzi, in Siena. Tuffandosi in una realtà che meriterebbe l’affaccio sul corso – tanto bisognoso di rimpolparsi di qualità – pur sposandosi bene con la veste antica del Castellare. "Sono un’autodidatta", confessa subito Cardin. Che ha ereditato dal nonno la predisposizione ad una spiccata manualità. "Lasciandola scorrere, ha fatto emergere la vena artistica", spiega.
Com’è nato l’amore per i peperoncini?
"I tanti viaggi, ho vissuto per un periodo anche in Egitto. Abbiamo creato un’associazione per i bambini albini africani facendo arrivare loro occhiali e creme da sole. Viaggi che mi hanno consentito di conoscere frutti molto particolari, fra cui appunto il peperoncino. Un colpo di fulmine, anche se da buona italiana li conoscevo".
Inizia a studiarli, in particolare quello africano, il ’fatalii’.
"Mi innamoro follemente perché hanno una storia millenaria e arrivano da ogni parte del mondo. Per farla breve (brillano gli occhi mentre ne parla, ndr) ho realizzato vicino a casa una serra grandissima su un ettaro di terra. Li coltivo qui, decine e decine di specie".
Dal produttore al consumatore, se non fosse che diventano gioielli. Orecchini, ciondoli, collane.
"L’idea di mettere a frutto questa passione nasce durante il Covid. ’Devo dargli un’eternità’, mi sono detta. Così ho sperimentato l’impossibile".
Sentiamo.
"In questi gioielli (mostra il ciondolo di una collana, ndr) c’è il frutto vivo. Quello che coltivo e raccolgo dalla pianta lavorandolo poi attraverso un processo di stampo che raccoglie tutte le particolarità del prodotto, dalle grinze, alle curve, alla grandezza. Lo ricopro di argento, anche di oro ma il primo è più resistente e adatto, grazie ad una sorta di elettrochoc si polverizza il contenuto, poi svuotato attraverso due fori quasi invisibili. Resta lo scheletro che viene colorato a mano. Pezzo per pezzo, nessuno è uguale all’altro perché ogni peperoncino è diverso".
Ce ne sono di ogni dimensione e foggia.
"Persino i baby (i piccoli, ndr), scorpion e habanero, altri molto più grandi (indica un gioiello al lato della vetrina, ndr). Realizzo tutto artigianalmente, avvalendomi anche di un laboratorio di tutte donne, dai 20 ai 60 anni. In attesa, chissà, di poterne avere uno tutto mio".
Progetti?
"Due prototipi di portachiavi con i colori del tricolore, realizzati con peperoncini calabresi, sono in attesa di valutazione da parte dell’Esercito italiano".
Come reagiscono le persone al suo ’mondo piccante’?
"Sono molto curiose, apprezzano. Lo prendono anche come portafortuna. Vendo molto con l’ecommerce in Spagna, amano il colore rosso, in Nord America. Vengono donne e anche tanti uomini per i portachiavi. Spero di poter accontentare un po’ tutti, mi piace vederli indossati".
Il negozio si chiama "Adelchisa".
"Mi sento un po’ Adelchi, un guerriero idealista che deve lottare per ogni cosa. Poi questo era un nome usatissimo nell’800 a Milano".