MAURO ROSATI*
Cronaca

La tutela dell’agricoltura toscana: "Troppi abbandoni, settore a rischio"

L’analisi delle tendenze dell’Irpet: in calo la superficie coltivata mentre cresce la vocazione ricettiva

La tutela dell’agricoltura toscana: "Troppi abbandoni, settore a rischio"

La tutela dell’agricoltura toscana: "Troppi abbandoni, settore a rischio"

La crisi dei trattori, oltre al clamore mediatico e alle invettive contro l’Europa, ci deve insegnare qualcosa, anche sulla base dell’ultimo Rapporto Irpet che misura le tendenze regionali agricole comparando i censimenti 2010, 2020 e gli ultimi dati Istat. I numeri regionali riguardo al comparto dei cereali (Toscana granaio d’Italia), parlano di 173.000 ettari di superficie agricola utilizzata, una diminuzione del 23% dal 2010. Una coltivazione, quella del frumento, che viene dismessa dalle imprese visti anche i prezzi di mercato e il notevole aumento dei costi di produzione di oltre il 60%. Un altro pezzo della ‘Toscana Agricola’ è rappresentato dal settore dell’olivicoltura che, con 92.000 ettari di superficie e 36.700 aziende agricole, rappresenta storicamente la parte meno redditizia; colpa degli alti costi di produzione e di una concorrenza degli oli comunitari, spesso realizzati a livello industriale e venduti con prezzi bassi che mettono in crisi i blasonati oli a Indicazione Geografica.

Gli abbandoni, nell’olivicoltura toscana, mostrano cifre che destano preoccupazione: negli ultimi dieci anni una perdita di territorio pari a circa 18.000 ettari di superficie e 15.000 aziende. C’è poi il settore zootecnico. La Cinta Senese patisce l’incombere della peste suina, già alle porte della Toscana. Gli allevamenti di bovini della Chianina, i pochi rimasti nel sud della regione, stanno soffrendo per i costi alti della produzione. Per quanto riguarda gli ovini da latte e da carne si registra una netta diminuzione, pari al 24% dei capi allevati. Un problema che impatta anche sulle produzioni di alto valore aggiunto come il Pecorino Toscano Dop.

Altra questione, non meno preoccupante, la selvicoltura. La Toscana è tra le regioni più boscate, eppure non si è ancora trovato un modello economico che possa tutelare questa risorsa, preservarla dall’abbandono e allo stesso tempo garantire alle imprese la loro sussistenza. Veniamo infine al vino, il fiore all’occhiello, che coinvolge quasi 13mila aziende e 52 denominazioni fra Dop e Igp, con una estensione di 61.000 ettari. Negli ultimi dieci anni si registrano perdite pari al 30% dei volumi nell’export confermato anche dal dato dei primi 9 mesi del 2023 che segna un -7,5%. Una tendenza al ribasso che si inserisce in un quadro abbastanza critico. Le tensioni dei conflitti internazionali, i dazi e i problemi di logistica devono far riflettere gli operatori del settore, che esportano circa il 50% del prodotto. L’altro tema da monitorare sono le tendenze di consumo soprattutto dei giovani, target che sta abbandonando progressivamente il vino, soprattutto quello rosso, a vantaggio dei vini bianchi frizzanti, delle birre e del settore della mixology.

Un orizzonte piuttosto sconfortante per il comparto del vino toscano, dove a farla da padrone sono i grandi rossi venduti soprattutto all’estero. Nonostante ciò, le imprese vitivinicole toscane stanno reggendo la botta della crisi di mercato grazie agli introiti dell’enoturismo. Molte aziende compensano la perdita del fatturato del vino.

Ma può un’azienda agricola considerarsi ancora tale quando l’attività e gli introiti prevalenti sono quelli legati alla ricettività e all’intrattenimento? La terra, in questo caso, resta in sottofondo e non è più l’attrice protagonista dell’impresa, così come ormai avviene nella maggior parte degli agriturismi (e anche in questo caso, con oltre 5 mila strutture, la Toscana detiene il primato italiano).

I trend, le analisi e i dati ci prefigurano una regione che sta abbandonando poco a poco la sua vocazione agricola ‘sul campo’ che da sempre è stata la sua identità. Stiamo già assistendo a un cambio radicale delle aziende dove la parte multifunzionale ha ampiamento superato quella agricola. È un fenomeno che possiamo toccare con mano, nelle grandi tenute toscane diventate resort, con campi da golf e spa, e poi marginalmente le vigne e una cantina-boutique. Come ricorda il Rapporto Irpet, la perdita della superficie agricola e del valore dell’agricoltura comporta per la regione anche un danno rilevante dal punto di vista ambientale e sociale. Gli indicatori sono chiari: se continuiamo così, nel 2030 in Toscana l’agricoltura sarà solo marginale. Occorre agire sperando che non sia tardi.

*Direttore Fondazione Qualivita