MASSIMO BILIORSI
Cronaca

Le botteghe del tempo che fu. Quei viaggi pieni di complicità

Una foto una storia Gli antichi negozi, luoghi di incontri e confidenze, una serie di istantanee familiari

Nella foto di Augusto Mattioli, una tradizionale bottega senese

Nella foto di Augusto Mattioli, una tradizionale bottega senese

"Oh signora, ma il su’ figliolo c’ha sempre la febbre?" "Guardi, non mi dica niente, è tre giorni che è allettato!". Dialogo quotidiano di un tempo vissuto, quando era normale il giro delle botteghe per la spesa. E si facevano cento metri in più per la carne giusta per il ragù e si ascoltava il mondo scorrere attraverso le piccole vicende del vicinato. Augusto Mattioli, con il suo scatto, è coltello che entra nel burro dei ricordi. L’uomo ha da sempre avuto due grandi occupazioni: crearsi una serie continua di consuetudini per poi distruggerle quando i loro benefici effetti si erano esauriti.

E adesso siamo davvero ad un giro di boa: questa foto ci racconta quello che abbiamo perso, il tempo è padrone dei nostri destini e la spesa è in luoghi che ci fanno guadagnare ore ma perdere contatti. Delle ’tradizioni’ possiamo fare anche a meno. Ma qui abbiamo perso anche la confidenza, che era tutto un linguaggio diverso, domestico, intimo, ricco di riferimenti famigliari e di vita prossima, quasi un intreccio amoroso. È come se, oltre a venderti due etti di prosciutto, ti avesse aperto il suo cuore e tu, in cambio, gli avevi aperto il tuo. E aprirsi, lo sappiamo, non è mai perdersi, ma ritrovarsi insieme nella complicità. Le botteghe di un tempo erano ricche di dettagli.

Nella vita hanno una grande importanza. In un certo senso fungono da adesivo, fissano la materia essenziale dei ricordi. Da quando al banco appena ci arrivavi e quell’uomo di pareva un gigante buono. Forse fra cento anni una bottega di queste sarà imprigionata in un museo e desterà l’incredulità dei visitatori, la stessa che abbiamo noi oggi davanti alle meraviglie degli egizi o degli etruschi. Eppure molti turisti sono alla ricerca di antichi sapori, stanchi della loro necessaria modernità. Chissà che non sia finanziariamente utile mantenere luoghi in cui sembra che le lancette dell’orologio siano ferme da anni, in cui quel che è vecchio acquista valore fino ad essere definito vintage, luoghi in cui non nonostante il turismo si respira ancora l’aria genuina di paese.

Lo ammetto, sono una persona vintage: scrivo spesso a mano, colleziono vinili e orologi, annuso il profumo della carta, ho un’auto quasi maggiorenne che ha imparato dove portarmi. Considero il computer una necessaria costrizione. Sono fuori tempo? Può darsi, ma ricordatevi che bell’effetto ha ancora la parola ’corteggiare’.