REDAZIONE SIENA

Le frittelle dolci senesi grazie a Fruschella

Nello Ferri aprì una friggitoria in Piazza del Campo ai primi del Novecento. E lanciò la sua ricetta, semplice solo all’apparenza

Non solo ricciarelli e panforte, a Siena c’è anche un altro dolce nato all’ombra della Torre del Mangia: le frittelle. Una tradizione nata oltre un secolo fa e che non manca sulle tavole dei senesi il 19 marzo, il giorno di San Giuseppe e la ‘festa del babbo’.

Tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento a venderle, per la prima volta, fu un torraiolo: Nello Ferri, detto Fruschella, che insieme a un parente, aprì una friggitoria in Piazza del Campo: carne, verdure e frittelle. Squisiti dolcetti che in tanti, e in più parti d’Italia hanno provato, nel tempo, a rifare, mai come gli originali.

La ricetta è solo in apparenza semplice: riso, acqua, scorza d’arancia, poca farina e un pizzico di sale. La bravura, però, è nel farle piccole, non più grandi di una moneta da un euro, croccanti all’esterno e, soprattutto, vuote all’interno. Se non sono vuote non sono frittelle. La tradizione di Fruschella fu proseguita da suo figlio Cipriano che, negli anni, a Siena divenne un noto commerciante di frutta. Dopo di lui il nipote Roberto Ferri, con la moglie Marina, continuò un’orgogliosa eredità di famiglia.

Dall’antica friggitoria di Fruschella si passò ad una semplice struttura come quella usata da Cipriano Ferri, al tempo si chiamava baracca, quella di Roberto Ferri era a mo’ di casina, così da impattare il meno possibile con il meraviglioso scenario naturale di Piazza del Campo.

L’abilità nella realizzazione dell’impasto si sposava con quella di buttare in padella le palline di riso con il mitico ’cucchiaino’, un utensile inventato appositamente per questo scopo. Roberto Ferri riusciva, da solo, a gestire in contemporanea ben tre padelle, ma non le padelle che pensiamo oggi, bensì recipienti di oltre cinquanta centimetri di diametro, le stesse usate da suo zio, e prima dallo stesso Fruschella.

Il riso era rigorosamente lavorato a mano in catini di terracotta smaltata di colore bianco e verde, perché le impastatrici elettriche lo avrebbero scorporato troppo. In questi stessi catini riposava per alcuni giorni prima di essere cotto, rigorosamente in olio di oliva, e senza l’uso di friggitrici elettriche. Grandi picce fumanti – le frittelle devono restare attaccate l’una alle altre – venivano riposte in ampi vassoi di rame dove, non toccando il fondo, potevano scolare l’olio residuo. Fino agli anni Sessanta e Settanta costavano solo 10 lire l’una, solo a metà degli anni ’80 il prezzo salì a 25 lire.

Roberto Ferri era abilissimo nel saper fare le frittelle e anche se erano le più piccole risultavano le più richieste dai ristoranti della città, come dal Circolo degli Uniti, che gli richiedevano quelle al Rum, una versione molto difficile perché devono restare vuote anche con l’aggiunta, per questa versione, dell’uovo e del liquore.

Una storia, questa di Fruschella e dei suoi discendenti, utile per mantenere viva la memoria di alcuni senesi che, anche se non ci sono più, hanno dato vita a una tradizione, poi ripresa da altri. Ma della quale, però, non si devono dimenticare le origini, soprattutto in un’epoca dove l’oblio primeggia sul ricordo e la memoria.

Cesira, Fabio, Roberta e Viviana Ferri pronipoti di Fruschella