
L’inchiesta tv sui festini a luci rosse. Cinque richieste di rinvio a giudizio
L’udienza davanti al gip di Genova Nicoletta Guerrero è fissata il 3 aprile alle 11,30. Gli imputati per diffamazione (articolo 595, i 3 commi, visto che l’offesa è verso un corpo giudiziario) sono l’ex sindaco e consigliere comunale Pierluigi Piccini, Antonino Monteleone, Davide Parenti, Marco Occhipinti giornalisti e curatori del programma Le Iene, oltre a Laura Casarotto, direttrice di Italia 1. Le persone offese sono tutti magistrati della procura di Siena all’epoca dei fatti. Dal procuratore di qualche anno fa Salvatore Vitello (oggi procuratore generale facente funzione presso la Corte d’Appello di Roma), all’attuale procuratore Andrea Boni, dai tre pm che seguirono l’inchiesta sulla morte di David Rossi, Nicola Marini, Aldo Natalini e Antonino Nastasi ai magistrati Fabio Maria Gliozzi (avvocato generale a Firenze) e Roberta Malavasi (oggi gip a Bologna). Tutti difesi dall’avvocato del foro di Genova, Andrea Vernazza.
E’ un passaggio ulteriore di una storia destinata a non avere fine. Anche se l’udienza è il secondo tempo per i magistrati che erano di stanza a Siena qualche anno fa. E’ l’appendice dei presunti festini a luci rosse, che per anni ha acceso i riflettori mediatici nazionali e anche internazionali sul caso David Rossi, sulla morte del manager di Banca Monte dei Paschi, caduto dalla finestra del suo ufficio al terzo piano di Rocca Salimbeni, il 6 marzo 2013.
La pista parallela dei festini hard si aprì dopo l’intervista ’rubata’ all’ex sindaco Pierluigi Piccini, mandata in onda da Le Iene l’8 ottobre 2017. "Un avvocato romano mi ha detto: devi indagare su alcune ville fra l’aretino e il mare e i festini che facevano lì. Perché la magistratura potrebbe anche avere abbuiato tutto perché scoppia una bomba morale".
Sono le parole che Piccini pronunciò seduto al tavolo di un locale in Piazza del Campo, registrate con una telecamera ’nascosta’ dal giornalista Antonino Monteleone. L’ex sindaco aggiunse: "Chi andava in queste feste? Ci andavano anche i magistrati senesi ad esempio? Mah. Ci andava qualche personaggio nazionale? Mah". Tutte ’rivelazioni’ collegate alla morte di David Rossi. Che disegnavano un quadro di omissioni, silenzi, coperture per chiudere il caso come un suicidio. Mentre la tesi prospettata da Piccini metteva in dubbio la conclusione ufficiale delle inchieste.
Dall’ottobre 2017 fino a qualche mese fa il caso David Rossi è esploso a livello mediatico. Una raffica di inchieste televisive e giornalistiche sui festini a luci rosse, la scoperta di un sedicente escort che avrebbe partecipato in una villa nei dintorni di Siena, le rivelazioni di un ex comandante di una stazione dei carabinieri, interviste a volti coperti, foto di personaggi che avrebbero dato vita a quelle feste. Una sarabanda trasmessa non solo da Le Iene, ma anche da altri programmi tv, che per anni contribuì a un pensiero generale e nazionale: David Rossi non si era suicidato, ma era morto per coprire oscure trame e festini indicibili. Un copione tra un film di Kubrick e un giallo di Dan Brown, sceneggiatura appetibile per qualsiasi tv o mezzo di comunicazione cartaceo e web.
Cosa resta dopo sei anni e mezzo da quell’intervista ’rubata’? Le conclusioni di una commissione d’inchiesta parlamentare che hanno suffragato la tesi del suicidio e, dopo una valanga di audizioni dei protagonisti, hanno accantonato la pista dei festini. Ma la giustizia ha i suoi tempi, una volta innescata deve arrivare a una conclusione. Gli esposti dei magistrati della procura di Siena dopo le ripetute puntate nelle televisioni ora sono culminati nella richiesta di rinvio a giudizio. Il 3 aprile si saprà se la sarabanda ripartirà con un nuovo processo.