Ognuno dei richiedenti asilo pakistani e afghani che si trovano a Siena ha una storia. Molto spesso una storia di guerra e paura, di separazione e privazione dei propri affetti, di fuga dalla patria, alla ricerca di un posto migliore. O anche solo di un posto dove la propria vita non sia costantemente a rischio per motivi politici e religiosi. Tra i ragazzi che ogni giorno frequentano i locali di San Girolamo pochi riescono ad esprimersi in inglese, mentre l’italiano rimane un tabù praticamente per tutti. Nonostante provino e si impegnino, buttando lì ogni tanto una parola insegnatagli dai volontari.
Eppure nonostante le difficoltà linguistiche, hanno una gran voglia di raccontare la loro storia, per far capire come la loro sia solo una richiesta di aiuto e di comprensione. "Non vogliamo essere un problema" ribadiscono più volte.
C’è chi ancora vive nella paura della persecuzione, come un giovane ragazzo che si avvicina e ci racconta di essere stato un giornalista nel suo Paese. "Avevo una bella vita - spiega -, una bella casa, guadagnavo bene. Poi sono arrivati i talebani, e a causa del mio lavoro hanno iniziato a minacciarmi. Per questo sono scappato". E sempre per questo non vuol farsi fotografare, o dire il suo nome: "Potrebbero riconoscermi e io ho paura".
In molti raccontano di essere stati picchiati, minacciati, costretti all’espatrio. Sher Hakeem, giovane ventiquattrenne afghano, fa da portavoce un po’ a tutti conoscendo bene l’inglese, e racconta quello che stanno vivendo a Siena. "Siamo più o meno 60 persone - racconta Sher -, per gran parte del tempo abbiamo dormito al parcheggio Il Duomo, poi la Polizia ci ha sgomberati. Abbiamo dovuto passare più di una notte all’aperto, principalmente nei parchi. Anche ieri in molti hanno dovuto dormire fuori, nonostante ci sia chi ci ha dato ospitalità: inizia ad essere veramente freddo, tanti si stanno ammalando. Influenza, febbre, dolori. Noi non vogliamo niente di particolare, chiediamo solamente a Siena di aiutarci. Un posto caldo e sicuro è quello che ci basta, i volontari stanno facendo tantissimo per noi ma non possono trovare una soluzione da soli. Tanti di noi ancora non hanno ricevuto lo status di rifugiati, aspettano da mesi, e questo complica le cose".
Nonostante questo, Sher non perde il sorriso. Distoglie lo sguardo e si commuove solo quando il discorso si sposta sulla sua famiglia. "Loro non sanno quello che sto vivendo - dice il ragazzo -, gli racconto che dormo in un hotel e che va tutto bene, che ho cibo e soldi. Farli preoccupare non credo sia corretto, stanno già vivendo una situazione di paura e difficoltà in Afghanistan. Già lì avevo perso tutto, dormivo all’aperto, sarebbe un fallimento ammettere che anche qui le cose non stanno cambiando. Noi non siamo qui per creare problemi, vogliamo solo pace e tranquillità: ciò che chiediamo è aiuto".
Andrea Talanti