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Lovaglio, la vita in banca: "Da Varsavia a Sondrio creando sempre valore. La prima volta al Monte"

Luigi Lovaglio, AD del Monte dei Paschi, racconta la sua esperienza di risanamento della banca. Un piano di esodo volontario, l'aumento di capitale e l'utilizzo dei profitti per dare credito all'economia hanno portato a risultati lusinghieri. Una sfida vinta con l'etica e la fiducia dei dipendenti.

Lovaglio, la vita in banca: "Da Varsavia a Sondrio creando sempre valore. La prima volta al Monte"

di Pino Di Blasio

SIENA

"E’ stata la mia intervista più lunga, non ho mai parlato per più di un’ora in tv". Luigi Lovaglio chiude così la chiacchierata negli studi di Canale3Toscana per la prima puntata della trasmissione ’Il lato positivo’, in onda ieri sera. Era reduce dai lusinghieri dati di bilancio del terzo trimestre, la nuova stagione del Monte è iniziata da mesi. E l’ad ha voluto fotografare l’anno del riscatto della banca. Ma prima ha parlato dei suoi precedenti.

"Non mi piace il concetto di estrarre, preferisco creare valore. Un concetto che raggiungi con l’età, quando hai voglia che ciò che fai abbia una sua fisionomia. E quando non ci sarai più tutti vedranno ciò che hai seminato, come è cresciuto quell’albero che regge il vento".

Che cosa ricorda della Bulgaria e della Polonia?

"I tanti anni nell’Europa dell’Est mi hanno insegnato che puoi imparare qualcosa da tutti, c’è un grande valore nelle persone che incontri. Il segreto della Polonia è in un mix di cose. Sono arrivato nel 2003, all’epoca del primo governo dopo Solidarnosc, e il Paese era in una fase di crescita impetuosa. Tutti in Polonia cercavano di educarsi di più, di prendere master e lauree. E tutti si lanciavano in avventure imprenditoriali. Abbiamo comprato il 50% di Pekao per un miliardo di dollari, nel periodo in cui ero alla guida siamo arrivati a valere 12 miliardi di dollari. Era la prima azienda, non solo la prima banca, della Polonia per capitalizzazione. Per questioni di etica, non stipulammo mai mutui in franchi svizzeri, come facevano tutti. I fatti poi ci dettero ragione".

Unicredit decise di vendere Pekao allo Stato, lei tornò in Italia per guidare Creval..

"Entrai come presidente, scelto dai fondi, poi diventai amministratore delegato. Anche al CreVal abbiamo creato valore scegliendo le persone giuste per generarlo. Nei mesi del Covid, per proteggermi dalla pandemia, mi consigliarono di vivere a 6 chilometri da Sondrio, in un appartamento dell’ex custode di un centro di formazione abbandonato. Sono rimasto lì 3 mesi, ho ricordi bellissimi".

Dopo aver venduto il CreVal ai francesi di Credit Agricole chi la chiamò a guidare il Monte? "Fui contattato dal direttore generale Alessandro Rivera. Sapevo poco del Monte dei Paschi allora, seguivo però tutte le vicende. Mi incuriosiva la storia, il ministero mi propose la sfida di risollevare la banca e io accettai. Convinto di essere la persona giusta per poterla vincere".

Lo disse al Tesoro?

"Quello che dissi fu che accettavo la sfida importante perché credevo fosse giusto che il Monte uscisse dalla nebbia che gli era stata creata attorno".

In 4 mesi lei partorì il piano ’una banca commerciale semplice e chiara’, indicando la rotta che seguirà fino al 2026

"In realtà fu tutto più semplice. Quando entrai la prima volta al Monte dei Paschi, assieme alla presidente Patrizia Grieco, dissi ’wow, questa è una banca, senti l’odore e la cultura di fare banca che traspira dalle pareti. Qui è impossibile fare male’. Salii nel mio ufficio, mi misi a studiare e capii subito che c’era potenziale e c’erano tante persone che cercavano una rivincita. Ho fissato le quattro priorità, partendo proprio dalla semplicità di costruire il futuro su quello che c’era già".

La priorità più urgente?

"L’esodo volontario con scadenza a novembre. Sarebbe stata la soluzione di tutto. Non ho mai licenziato nessuno in nessuna banca che ho guidato. Quando arrivai, c’era già un piano di tagli del personale. Abbiamo attuato un’operazione di sistema, con l’accordo del Governo, dei sindacati, della banca. Tutti persuasi dal fatto che l’80% del piano industriale annunciato era già stato fatto, dalle fusioni di tutte le società al via libera di DgComp sulla proroga della cessione della quota di maggioranza dello Stato. Quando abbiamo lanciato l’aumento di capitale, promisi a tutti che nel 2024 il Monte avrebbe fatto 700 milioni di utili. L’aumento di capitale serviva a finanziare l’esodo e la manovra. Sarebbe stato un errore lanciarlo senza aver prima messo a posto la casa".

Sugli utili è andata meglio del previsto, siamo a 1,1 miliardi.

"Siamo stati fortunati con i tassi di interesse. Ma io voglio che il Monte duri altri mille anni, per questo il nostro piano è calibrato anche con tassi più bassi. Non credo che ci sia stata un’altra operazione al mondo come l’addio di 4.125 dipendenti in un giorno solo. Una scelta che ha garantito futuro a chi è andato via e a chi è rimasto. Una prova d’orgoglio dei dipendenti Mps".

Lei si definirebbe il risanatore del Monte?

"Mps non aveva bisogno di essere risanata, ma di qualcuno che facesse emergere il suo grande valore. Io ho fatto questo".

Cosa significa il 2023 con utili oltre il miliardo?

"Credo sia importante l’aver creato i presupposti per replicare i risultati anche i prossimi anni. Il Monte è tornato arbitro del suo destino, l’indipendenza te la danno i risultati".

A sentire lei fare banca è semplice..

"La banca è il luogo dove si incontra la fiducia di chi ti affida i risparmi e il desiderio di chi ha un progetto. La scelta di non pagare la tassa sugli extraprofitti destina quei 312 milioni di euro a capitale per dare credito all’economia. E possono fare da formidabile moltiplicatore".