
Correva il 2005 quando la regina del canto fu protagonista di un concerto in piazza del Campo.
Quando piazza del Campo incontrava l’Africa. E’ l’agosto del 2005, per la quinta edizione del festival La Città Aromatica due sere di concerti in questo "spettacolare" luogo. Nella prima tre grandi artisti provenienti da quel continente. Augusto Mattioli ferma nel tempo "mama Africa", così era chiamata Miriam Makeba, straordinaria figura del canto mondiale, portavoce di un mondo dimenticato. Eppure, che classe, che stile, come si insinua fra le canzoni suggestive del suo repertorio. Una serata all’insegna della bellezza, del ritmo e del colore. Con la Makeba, per un concerto che prendeva il nome di "Farafrique", si esibivano anche Mory Kante e Badara Seck. Il fulcro era la "storica" esibizione della regina d’Africa, con la sua vocalità personale e screziata, continua a lanciare messaggi sociali fondendo le radici afro e il jazz, lo spirito degli antichi cantori (i griot) e la melanconia del blues passando per la Missa Luba di cui è una celebrata interprete. Poi spazio a Mory Kante, con la sua kora, una sorta di liuto a 21 corde che è uno degli strumenti più affascinanti della tradizione africana con cui ha riletto i suoni degli antichi cantastorie avventurandosi anche, con il supporto del ritmo frenetico dei tamburi e di suggestivi arrangiamenti, in trame sonore funk e rhythm’n’blues. Molti ricorderanno "Yéké Yéké" che fu un esplosivo successo nelle discoteche. Finale riservato a Badara Seck, ormai di casa in Italia, soprattutto a fianco nei concerti di Massimo Ranieri. Nelle loro lunghe canzoni, fra ritmi e antiche citazioni primitive, gli africani parlano di libertà, ma non tralasciano mai di dedicare qualche verso alla natura di Dio, ne parlano come le Mille e una notte, o come gli ultimi capitoli del libro di Giobbe: lo stesso potere di immaginazione che hanno, che conservano, che ci offrono.
Dall’Africa c’è sempre da aspettarsi qualcosa di nuovo: lo fu anche in quella magica serata, dove il rock faceva capolino attraverso i suoni di un continente solo apparentemente lontano. La loro musica è intrisa nel sangue e nel sudore dell’Africa. Questa è la primaria ragione della viscerale forza espressiva, non facendo mai a meno del calco profondo delle loro radici.
Massimo Biliorsi