PINO DI BLASIO
Cronaca

Monticchiello, la lezione di Palmira. La nuova vita per i piccoli borghi

L’autodramma del Teatro Povero come strategia politica per salvare le aree marginali dall’abbandono

Monticchiello, la lezione di Palmira. La nuova vita per i piccoli borghi

L’autodramma del Teatro Povero come strategia politica per salvare le aree marginali dall’abbandono

Il testimonial più efficace per una politica che si propone di salvare le aree marginali, frenare lo svuotamento di piccoli borghi, rivitalizzare comunità abbandonate, è la piccola Palmira da Monticchiello. Non è il suo vero nome, è la bambina che recita nell’autodramma del Teatro Povero, ’Il velo della sposa’ . Palmira e Tonio, sorella e fratello, sono i personaggi principali del 58° spettacolo messo in scena dagli abitanti attori dello splendido borgo in Valdorcia.

Sul palco ci sono tre attrici e tre attori che li interpretano, da piccoli, da adulti e da vecchi. Palmira bambina vive la sua vita tenendo a mente le ultime parole del babbo, che la invita a migliorare se stessa per cambiare in meglio il mondo. Per Tonio, al contrario, "la vita è sangue, sudore e fatica, non è quella dei libri. Qui più che vivere, bisogna sopravvivere". Lo ripete da adulto e da vecchio, da miliardario che usa la Valdorcia da location per matrimoni di ricchi scemi.

Lo spoiler sull’autodramma finisce qui, corredato dal consiglio di andare a vederlo per farsi cullare dalla magia di una comunità che fa teatro, dalla bellezza di un borgo che grazie al Teatro Povero è ancora più bello e più vitale, dalla intramontabile bontà dei pici di Monticchiello, divorati in una piazzetta con quattro lecci disposti a quadrato come una cornice.

Palmira e Monticchiello sono l’esempio migliore di come sfuggire al destino ineluttabile dell’abbandono dei borghi, alla condanna dello spopolamento, perché mancano le scuole, le farmacie, i negozi di alimentari, i servizi essenziali. E per arrivarci devi percorrere strade tortuose, interrotte da cantieri infiniti, da ponti che crollano e frane che non si fermano. E di come vivere, non sopravvivere, senza vendersi l’anima. Al contrario, migliorandola, rendendola feconda. A Monticchiello sono nate tante cose che possono fare da lezione per mondi nuovi.

Non ci credete? Negli anni Ottanta c’era già il Teatro Povero. Era una tappa obbligata dell’estate di tanti intellettuali e sedicenti tali, passati alle cronache come radical chic. I pici e il teatro in piazza erano un must. E a me è capitato di vedere Nilde Jotti, da presidente della Camera, assieme ad Alberto Asor Rosa e altri professoroni, seduti nelle scomode sedie di piazza della Commenda per applaudire gli abitanti attori.

Poi ci fu la battaglia di Asor Rosa contro la lottizzazione di Monticchiello. Decine di appartamenti da costruire per attirare nuovi abitanti e far restare nel borgo le giovani coppie. Su Repubblica l’articolo che definì quel progetto ’un ecomostro’ innescò un dibattito nazionale aspro. Accompagnato da minacce verso Asor Rosa: gli sfondarono anche la porta di casa e fu tacciato di ogni nefandezza, persino di essere lo spocchioso intellettuale che fece germogliare la sindrome Nimby, non nel mio giardino. Un virus che blocca ogni opera pubblica in Italia, soprattutto se da costruire vicino ai buen retiri di intellettuali di sinistra, ça va sans dire.

Asor Rosa non mollò la presa, trasformò la battaglia contro gli appartamenti nell’idea geniale del parco artistico naturale della Valdorcia. Vi risparmio gli attacchi, le polemiche e le crociate pro o contro il parco. Fatto sta che oggi è il motore principale di sviluppo di una valle inesorabilmente condannata all’abbandono. Diventata, invece, il paradiso della natura, del vino e del buon cibo, di una vita dolce e lenta. E da venti anni l’Unesco ha inserito il parco della Valdorcia nella lista dei patrimoni dell’umanità.

Oggi nessuno attacca il parco, anzi fanno a spintoni per ampliarne i confini e approfittare di un marchio di bellezza Dop. Monticchiello non ha venduto la sua anima, ha persino costruito una parte di quegli appartamenti, riducendo le volumetrie iniziali. Non so se la piccola Palmira abita nel borgo con la sua famiglia. Negli anni i ristoranti si sono moltiplicati, c’è perfino uno consigliato dalla guida Michelin. Ma mentre mangio i pici alla Taverna di Bronzone, dopo l’autodramma, vedo la bambina che ha recitato Palmira correre e giocare in piazza assieme ad altri bambini. E capisco che qui e stasera ha vinto lei, non Tonio.