REDAZIONE SIENA

Morte di Rossi, le verità da cercare

L’inchiesta sui festini ha fuorviato le indagini per scoprire le ragioni

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Tre anni e quattro mesi dopo la famigerata intervista in Piazza del Campo all’ex sindaco Pierluigi Piccini, sei giorni dopo il decreto di archiviazione dell’inchiesta firmato dal gip Franca Borzone, cosa resta di una vicenda che ha irrimediabilmente segnato la reputazione della città e del Monte dei Paschi? Cosa rimane di quella "storia parallela" evocata da Piccini, "con festini a base di cocaina, in due ville, tra Arezzo e Siena, e al mare", che sarebbero stati il motivo per cui i magistrati senesi non avrebbero indagato a fondo sulla morte di David Rossi?

Giudiziariamente nulla, almeno nella parte dei collegamenti tra morte di Rossi e presunti festini. Ma a Genova adesso comincerà il secondo tempo della storia. Ci sono tante querele per diffamazione e calunnia, firmate non solo dai sei pubblici ministeri della procura di Siena, che hanno innescato il procedimento penale. Ma anche querele da parte di magistrati singoli e da altri che si sono sentiti diffamati dai servizi de Le Iene. La più recente è di un magistrato contro Matteo Bonaccorsi, l’ex escort ascoltato a volto coperto in tv e ripetutamente rilanciato nei servizi. La reazione dei magistrati coinvolti è riassunta nell’esposto che ripercorre sia la deposizione di Bonaccorsi ( la cui identità è stata scoperta dagli inquirenti dopo le perquisizioni in casa di Antonino Monteleone de Le Iene e per questo convocato dai giudici non per sua volontà), sia i presunti legami tra il sedicente escort, giornalisti e cameramen vicini a Le Iene, sia le sue visite a Borgo San Luigi, indicato come il residence dei festini. Bonaccorsi non ricordava il nome del residence nella sua deposizione, ma riconosceva le camere. Nella querela è contenuto anche un post sulla partecipazione al matrimonio di un parente, proprio a Borgo San Luigi. E l’atto ruota attorno alla tesi che Bonaccorsi sia un teste ’costruito in vitro’, per avallare la tesi dei festini. Dopo l’archiviazione dell’inchiesta queste sono faccende che riguardano i diretti interessati, i querelanti e i querelati. Ma la sensazione di essere stati bersaglio di una tempesta di fango che ha fuorviato tutti, compresa la famiglia di David Rossi, dalla ricerca della verità, diventa sempre più incombente. Di quale verità parliamo? Di quella sulla morte di David. Non solo sul come: le modalità sono state al centro di troppe inchieste, polemiche, perizie e autopsie, per illudersi che ci potrà mai essere una verità condivisa sul suicidio o il presunto omicidio. Ma sul perché David è morto, le ragioni che lo hanno istigato o spinto al suicidio. Anche il gip di Genova definisce corretta l’inchiesta partita sulla violazione dell’articolo 580 del codice penale, ovvero istigazione al suicidio. "Il luogo in cui il corpo giaceva, la finestra spalancata dell’ufficio, le lettere di addio rinvenute accartocciate nel cestino, l’assenza di segni di colluttazione, l’ispezione medico legale, costituivano spunti per ben ipotizzare un evento suicidario, intorno al quale tuttavia appariva necessario verificare ipotesi di istigazione". L’archiviazione del gip continua anche con i primi racconti sul "malessere psicologico" di David Rossi nei giorni prima dell’evento, dopo la perquisizione subìta e l’essere stato ascoltato per sommarie informazioni testimoniali.

E allora riavvolgiamo il nastro e torniamo a quella notte drammatica, ai fatti legati al lavoro di David, alla drammatica crisi del Monte e alle prime conseguenze del cambio al vertice, da Mussari-Vigni a Profumo-Viola. Chi vuole la verità, non quella di inchieste giornalistico-scandalistiche e nemmeno quella dei processi (che è un’altra cosa, come sanno per primi giudici e avvocati), torni a far luce su quei mesi. E su quegli anni che hanno distrutto una banca, assieme alla vita di David Rossi.

Pino Di Blasio