Sono 4.500 i lavoratori della provincia travolti da processi di crisi. Questo il dato preoccupante emerso dall’iniziativa pubblica organizzata dalla Cgil ieri nell’aula magna dell’Università per Stranieri. "Sono quasi quattromila le lavoratrici e i lavoratori che in questa provincia sono interessati da chiusure di stabilimenti, licenziamenti, ore di cassa integrazione, riduzione degli orari in regime di solidarietà, buste paga non riscosse in tempo – ha spiegato Alice D’Ercole, segretaria provinciale Cgil –. È un’emergenza che parla anche della capacità di attrarre: infrastrutture inesistenti e persone che scelgono di non venire a Siena". Un quadro non confortante, che riguarda da vicino il settore dell’industria, ma intacca la totalità dell’economia del territorio. "Stiamo assistendo a una trasformazione del tessuto della provincia, che sempre più ha come uniche leve di crescita il turismo e l’agricoltura, per loro natura settori soggetti a stagionalità, precarietà di occupazione, manodopera sostituibile, salari più bassi, diritti anche inferiori e tanto lavoro nero e grigio – ha spiegato D’Ercole –. Il manufatturiero è un settore che deve continuare a esistere: oggi siamo nella condizione in cui l’industria alimentare, che era Amadori, ha chiuso lasciando a casa 200 persone, le pelletterie amiatine vivono una crisi senza precedenti con un quarto dei propri dipendenti in cassa integrazione, la situazione di Beko preoccupa ogni giorno sempre di più e mi pare che il destino sia tristemente tracciato".
Hanno partecipato all’evento anche Agnese Carletti, presidente della Provincia di Siena, Antonio Loffredo, professore associato di Diritto del lavoro del dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Siena, Massimo Guasconi, presidente della Camera di commercio Arezzo-Siena, e Francesca Re David, segretaria confederale della Cgil nazionale. "La situazione della provincia riflette la crisi che l’Italia sta affrontando, un paese in cui non s’investe da decenni in politiche industriali e le politiche vengono fatte fare alle multinazionali, in modo sempre più evidente. Pur essendo il secondo paese manufatturiero d’Europa, l’Italia ha deciso di non contare niente da questo punto di vista – ha commentato Re David –. C’è un’impotenza generale, ma questo vale anche per l’artigianato, le piccole aziende e così via. Un territorio vitale dal punto di vista manufatturiero, industriale e turistico che però non ha il sostegno di una politica che faccia il suo dovere".
Eleonora Rosi