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Odissea per baby calciatore: "Già tesserato in America". Ma negli Usa non è mai stato

Chiesto di deferire il giovane per 4 giornate e 500 euro di ammenda per la società. Entrambi prosciolti però il procuratore federale interregionale ha fatto reclamo. La Corte d’appello l’ha rigettato. Nessuna certezza di una presunta dichiarazione falsa . .

Un caso giunto addirittura davanti alla corte federale. di appello della Figc

Un caso giunto addirittura davanti alla corte federale. di appello della Figc

di Laura ValdesiSIENAUn rebus. Il giovane calciatore aveva detto una bugia, sottoscrivendo insieme ai suoi genitori la dichiarazione (essendo minorenne) in cui sosteneva di non essere mai stato tesserato per società affiliate a federazioni estere? Questa la tesi della procura federale che l’aveva deferito, insieme alla Società in cui militava. Oppure aveva detto la verità, avanzando quella domanda per entrare a far parte di una delle associazioni calcistiche più importanti a livello giovanile della nostra provincia? Come ha sempre rivendicato quest’ultima, unitamente al ragazzino, affidandosi all’avvocato Jacopo Meini. Una storia incredibile ha visto al centro un giovane che ha sempre sognato di tirare calci al pallone nel rettangolo verde. Finito in una querelle che ha richiesto anche l’intervento del legale, probabilmente, per un errore di persona. Il nome del calciatore, secondo quanto emerso nel tira e molla con tanto di reclamo del procuratore federale interregionale, sarebbe stato simile a quello di un calciatore tesserato per una società degli Stati Uniti. Solo che uno sarebbe nato in Africa e l’altro invece in un Paese del Sudamerica. Il caso è approdato davanti alla Corte federale di appello che, proprio a fine anno, ha reso norte le motivazioni per cui il reclamo è stato rigettato. E società e baby calciatore (ha 15 anni) possono tirare un sospiro di sollievo. Il collegio, anche alla luce dell’integrazione documentale fatta dalla procura adempiendo a quanto disposto dalla Corte, ritiene "che permangano dubbi circa la corrispondenza della persona fisica del calciatore tesserato dalla società statunitense con quella del deferito poiché la federazione Usa non ha trasmesso la documentazione identificativa del giocatore lì tesserato precludendo in tal modo il confronto" fra questa e quella acquisita nell’ambito del procedimento federale italiano. Rimanendo tali dubbi sull’identità del calciatore tesserato negli Usa, "non sussiste una ragionevole certezza, ricavabile da indizi gravi, precisi e concordanti, in ordine alla dichiarazione non veridica contestata in sede di deferimento dell’incolpato". Di qui il rigetto del reclamo. E la vicenda è chiusa.

Tutto era iniziato da una segnalazione della Commissione minori delle Figc ma in primo grado, davanti al tribunale federale territoriale della Toscana sia il giocatore che la società calcistica erano stati prosciolti. La procura federale interregionale aveva impugnato il provvedimento, chiedendo di squalificare per quattro giornate il ragazzo e un’ammenda di 500 euro per il team dove militava. Impossibile, si sosteneva, che esistano due giovani che hanno nome e cognome identico, nati lo stesso giorno, solo che uno in un Paese dell’Africa e l’altro invece del Sudamerica. Una vicenda surreale. Si è pertanto voluti andare in fondo affinché non rimanessero ombre o qui pro quo. Anche perché, come rivendicato dall’avvocato Meini, né il giocatore , né i suoi genitori sono mai stati negli Usa. Perché tesserarlo se poi non è andato in America? Inoltre negli atti non si trova alcuna richiesta scritta e sottoscritta dai genitori in cui si domanda il tesseramento presso la Federazione Usa. Che si agisca nel civile o nel penale affinché ci sia una falsa dichiarazione è necessario confrontare i documenti. Senza contare che il ragazzo avrebbe svolto in Italia un piano scolastico di inclusione nel periodo 2021-2022 risultando pertanto alquanto improbabile che nello stesso periodo possa aver giocato negli Usa.