ELEONORA ROSI
Cronaca

Operaia alla Beko. Debora Pianigiani: "Sollevo pesi da oltre vent’anni"

Potente racconto di una lavoratrice dell’azienda che ha annunciato la chiusura "A questa età cosa vado a fare? Non ho professionalità, non so come riciclarmi".

Debora Pianigiani al centro con il cappellino in mano

Debora Pianigiani al centro con il cappellino in mano

SienaDomani si festeggia la giornata Internazionale della donna, un momento di riflessione e celebrazione delle conquiste femminili in ambito sociale, politico ed economico. Nonostante le battaglie per la parità di genere, il mondo del lavoro continua a presentare ostacoli significativi. Lo sanno bene le lavoratrici dello stabilimento Beko di viale Toselli, resilienza e forza non smettono di spingerle a lottare per il proprio posto di lavoro. La stabilità occupazionale e la tutela della salute restano diritti spesso negati a molte lavoratrici.

"La situazione per le donne forse è ancora più complicata che per gli uomini, perché siamo tutte più o meno nella fascia d’età dei 50 anni - ha detto Debora Pianigiani, lavoratrice della Beko -. Doversi proporre per un nuovo posto di lavoro è molto più difficile per noi, anche perché non abbiamo una professionalità tale da poterci riciclare in altre aziende o settori. Stiamo tutte da vent’anni nello stesso posto di lavoro, dove chi fa una cosa, chi ne fa un’altra, ma sempre di bulloni, pezzi di congelatori si parla. Quindi, dove andiamo? È una brutta situazione, Beko era l’ultima azienda rimasta nel territorio senese ad aver dato buone opportunità alle donne e negli anni aveva scardinato l’idea che il lavoro metalmeccanico fosse solo per uomini".

Infatti, quasi metà dei lavoratori dello stabilimento è donna, ma quella delle lavoratrici Beko di Siena è stata una vita dura, segnata dai ritmi della fabbrica, della catena di montaggio e con il passare degli anni da dosi sempre maggiori di incertezza. "Tantissime donne hanno non meno di due o tre patologie, tutte portate dal lavoro - ha detto Pianigiani -. Parliamo di malattie professionali o quantomeno di problemi legati al lavoro. Sicuramente ci sono tanti tunnel carpali, molti problemi alla schiena per il carico dei pesi. Io non lavoro alla catena, ma faccio da trent’anni un lavoro in cui sollevo costantemente pesi. In gergo diciamo che siamo tutte ‘mezze rotte’".

Condizioni di lavoro e di vita difficilmente invidiabili ma che avevano permesso alle lavoratrici della Beko di emanciparsi, di rendersi economicamente indipendenti e di costruirsi una vita. "Nel 1994 cercavo lavoro, sapevo che Whirlpool assumeva, feci domanda e dopo neppure un mese entrai. Mi sono trovata subito bene: era un’azienda giovane, puntuale nei pagamenti e offriva 15 mensilità. Anche se il lavoro era pesante, mi trovavo bene. Nel 2008 ci fu il primo scossone: la vendita dello stabilimento. Da lì iniziammo ad avere paura per il futuro. Seguì la cassa integrazione, la solidarietà e questa precarietà che è andata avanti fino a oggi".

Adesso non solo le dipendenti non percepiscono una busta paga piena da mesi ma vedono la data di scadenza del proprio contratto e della propria indipendenza: 31 dicembre 2025. "Le donne monoreddito, qui molte, sono tra le più colpite - ha detto Pianigiani -. Il lavoro permetteva loro di vivere dignitosamente, di arrivare a fine mese senza dipendere da nessuno. Ora, invece, l’aria in fabbrica è pesante. Si capisce che siamo in fase di smantellamento. Io ho solo la Beko come fonte di reddito, quindi dovrò contare sulla cassa integrazione per due anni. Ho la fortuna di avere mio marito che lavora e una casa di proprietà, quindi nella tragedia mi ritengo fortunata, ma ho una figlia all’università. Siamo troppo vecchie per il mercato del lavoro, ma troppo giovani per la pensione. Nei prossimi 4-5 anni potranno andare in pensione forse 20-25 persone, una minoranza".