Siena, 17 dicembre 2024 – “Tanta passione, ecco quello che serve per fare il pastore. Se ce l’hai è un lavoro duro ma non ti pesa”, mette le mani avanti Caterina Carta. Carattere tosto. Abituata a rimboccarsi le maniche. Più degli uomini che lavorano nell’allevamento di famiglia, guidato da babbo Franco. Proprio nel cuore delle crete ad Asciano. “Mi sono fatta le ossa, partendo da zero”, rivendica la 36enne diventata da poco mamma di una bella bambina, Arianna, che ha 4 mesi e mezzo.
Una tradizione, dunque, quella di avere le pecore.
“Siamo alla terza generazione, in realtà. Perché i bisnonni erano uno cacciatore e l’altro aveva una bottega di vino. Fu mio nonno Giovanni Costantino a venire in Toscana, era l’inizio degli anni ’60. Ha fatto il pastore, suo figlio Franco lo stesso e adesso ci sono anche io”.
Si occupa delle stesse cose degli uomini?
“Sì, certo. La patente del trattore non ce l’ho ma nell’allevamento le mansioni sono le solite. Logicamente, poi, uno è più bravo in una cosa, uno in un’altra. Quando c’è da tagliare le unghie alle pecore magari io tengo ferma la zampa e poi se ne occupa l’operaio che ha più forza nelle mani. Facciamo una sorta di ’pedicure’ (scherza, ndr) per fare in maniera tale che non si rompa e possa accidentalmente avere dei problemi. La cura degli animali è importante”.
E con la tosatura come la mettiamo?
“Ora vengono dall’estero per questa operazione. Ci sono gruppi specializzati, da noi sono arrivati neozelandesi, polacchi e anche spagnoli. Tanti sardi hanno smesso la tradizione di andare nelle varie aziende a fare questo servizio, ormai sono troppo anziani”.
Una giovane donna, 36 anni, in un ambiente che è prettamente maschile. Come viene considerata?
“Chi guarda dall’esterno dice ’bello, ganzo, lavori in campagna’. Confesso però che non è stato facile. Ti devi imporre, poi a me piace andare d’accordo con tutti e lavorare in armonia... Ho le spalle larghe”
In che senso?
“Ho sempre svolto attività in mondi maschili, per tre anni sono stata in una ferramenta, per esempio. Sono abituata a farmi valere”.
Caterina si è rimboccata sempre le maniche.
“Se c’era da alzarsi alle 3 lo facevo, anche alle 2. E se pioveva e c’era da portare da mangiare ai cani facendo una decina di chilometri sotto la pioggia, prendevo e andavo. Ho fatto la gavetta, come e più degli altri. Per intendersi, non sono arrivata in azienda cominciando a dire ’te fai questo o quello’. E anche se sono una donna si è creato nel tempo un rapporto bellissimo d’amicizia. Infatti il lavoro scorre tranquillamente”.
E babbo Franco come si comporta con la figlia?
“Ora mi ascolta, la sera torna a casa e mi chiede consiglio. Un rapporto paritario anche se l’azienda è sua e decide lui”.
C’è stato un momento di sconforto in questi anni?
“Era calato il prezzo del latte, c’erano i lupi. Mi sono detta ’che si continua a fare’. Capisci che nessuno ti protegge, né ti aiuta”.
Suo marito è con lei in azienda?
“No, viene volentieri a dare una mano quando è libero. Ma lui è in una vitivinicola e con tanti ettari di terreno. E’ felicissimo della mia attività, ha piantato anche qui qualche vigna. Viviamo in simbiosi, lui adora l’agricoltura e io l’allevamento”.
Lei ha una pecora, per così dire, del cuore?
“Certo, la chiamo il Lama, perché assomiglia a questo animale. Con leri ho un rapporto speciale, di simbiosi. Era molto selvatica, ci ho perso tempo e l’ho addestrata come un cane. Ha 11 anni adesso”.
Sogno nel cassetto?
“Visto come va il mondo, di poter continuare con questa passione. Che ci consenta sempre di vivere bene”.