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Anna Carli presiede l’associazione nel nome dell’italo-americano. Lunedì l’incontro all’Arcivescovado
Riprendono le attività della Fondazione ‘Derek Rocco Barnabei’. L’incontro ‘Pena e speranza. La vita in carcere, le riforme necessarie’, in programma per lunedì alle 17 nel palazzo arcivescovile, segna una ripartenza nei lavori della Fondazione che ha lo scopo di sostenere la battaglia per la moratoria e per l’abolizione della pena di morte in tutto il mondo. Saranno presenti per l’occasione Augusto Paolo Lojudice, cardinale e arcivescovo di Siena, Giuseppe Fanfani, garante dei diritti dei detenuti per la regione Toscana, Mario Marazziti, Comunità di Sant’Egidio e Anna Carli, presidente della Fondazione Bernabei.
La Fondazione, nata con lo scopo di sostenere la battaglia per la moratoria e per l’abolizione della pena di morte in tutto il mondo, aveva rallentato molto la propria attività a partire dagli anni di pandemia, mentre adesso sta riprendendo a pieno ritmo. Ma perché istituire a Siena, in Italia, dove la pena di morte viene ripudiata da secoli, una tale Fondazione? "Alla fine degli anni Ottanta due giornalisti italiani che erano negli Stati Uniti vennero a conoscenza del caso di un ragazzo condannato a morte con origini italiane, andando a ritroso si capì che probabilmente il nonno aveva vissuto a Siena da giovane. La città si interessò molto al caso", racconta Anna Carli, che all’epoca della vicenda era il vicesindaco di Siena.
"Il Comune – aggiunge – prese a cuore la sorte del giovane, non perché fossimo convinti della sua innocenza, ma per via di quello che veniva riportato rispetto le modalità d’inchiesta e per il modo in cui si era tenuto il processo, concluso in tempi rapidissimi sulla base non di prove ma di indizi. Ad esempio fu chiesta la prova del Dna, ma quando andarono a prendere i referti per estrarre gli elementi per le analisi si scoprì che le prove, affidate al tribunale della Virginia, erano state malmesse".
A favore della salvezza di Derek Rocco Barnabei all’epoca si mossero in tanti: il parlamento italiano, il deputato senese Fabrizio Vigni, che andò negli Stati uniti di persona, mentre la madre di Derek venne in Europa e il parlamento europeo chiese il rinvio della sentenza. Anche Papa Giovanni Paolo II chiese che non fosse eseguita la sentenza di morte, ma nonostante tutto il 14 settembre del 2000 la condanna fu eseguita. "L’ultima risposta del governatore della Virginia ci fu la notte del 13 settembre, a Siena la aspettammo in diretta", ricorda ancora Carli. "Nel periodo in cui era nel carcere di sicurezza – aggiounge –, in cui vengono tenuti i condannati a morte, Derek aveva scritto un diario, pubblicato dalla Fondazione con il titolo ‘io sono il mare’. In questo diario, e in alcune lettere, Derek ha pregato che non lasciassimo cadere la sua morte nel silenzio, ma che addirittura sulla sua lapide fosse scritto ‘la lotta (contro la pena di morte) va avanti’".
Così nel 2001 le istituzioni senesi costituirono la Fondazione, da allora negli obiettivi dello statuto c’è la battaglia per l’abolizione della pena di morte, impegno a promuovere cultura dei diritti e informare opinione pubblica con iniziative culturali. "L’iniziativa del 10 febbraio con l’arcidiocesi rientra proprio in questi ambiti – conclude Carli –. Credo che il fatto di stampare il suo diario, da cui saranno estrapolate alcune letture durante l’incontro di lunedì, e avere modo di leggere quello che Derek ha lasciato scritto può portare le persone a dire che vale comunque la pena (anche in caso di condanna per omicidio) di tentare un percorso di recupero".