
di Teresa Scarcella
Auguri? No grazie. Mimose? Si, se il gesto nasce dal loro essere simbolo di alleanza (la mimosa venne scelta nel 1946 da Rita Montagna, Teresa Noce e Teresa Mattei, tre donne dell’Udi, e pare che fosse il fiore che i partigiani regalavano alle staffette). L’8 marzo è la Giornata internazionale dei diritti della donna, non la "Festa" come erroneamente si continua a chiamarla in Italia dandole automaticamente un’accezione ludica.
C’è poco da festeggiare in realtà. Perché se è vero che le donne di oggi sono figlie di quelle di ieri, se i diritti di oggi sono i frutti delle lotte del passato, è anche vero che c’è ancora tanto da fare. Si avrà un reale motivo per gioire quando non ce ne sarà più uno per discutere sulla parità di genere, perché sarà una cosa scontata, normale, comune e non una questione da trattare con sufficienza o, al contrario, da forzare, rischiando di farne una caricatura. Si festeggerà quando le battaglie non avranno più motivo di esistere e saranno un ricordo, quando non ci sarà più nessun tipo di violenza sulle donne: fisica, psicologica, morale. Quando ci sarà una libertà sessuale che non sia accompagnata da antipatici appellativi, una parità occupazionale e salariale.
"Quando non si parlerà più di "quote rosa" perché è triste che ci sia bisogno di una legge per assumerci – commenta Elisa Lucattini, di 23 anni – o quando smetteremo di giudicarci, anche tra noi stesse. Capita a volte di sentirmi sminuita solo perché mi vesto in modo appariscente. La gente mette in dubbio la mia persona, quando invece il mio modo di vestire non determina il mio carattere, ma solo i miei gusti".
Si festeggerà quando ci sarà una piena libertà di scelta sul proprio corpo e quando invece non dovrà esserci per forza una scelta tra la famiglia e la carriera. "E’ assurdo che ancora oggi, ai colloqui di lavoro, dobbiamo sentirci chiedere: ha intenzione di fare figli? Come coniuga il lavoro e la famiglia? Come se gli uomini non fossero capaci a farlo – aggiunge Giulia Mascagni, di 22 anni – purtroppo le disuguaglianze sono tante e in vari ambiti, derivano da un retaggio culturale che si fa fatica a scrollarsi di dosso e che si riflette in tutto ciò che ci circonda".
Quella stessa mentalità che ancora lega la donna alla gestione della casa e alla cura della famiglia. Uno stereotipo senza dubbio meno forte rispetto a 40, 50 anni fa, ma ancora fin troppo vivo, non solo laddove l’indipendenza economica femminile non è neppure una possibilità, ma anche in realtà che pur emancipate sono ancora profondamente influenzate. Dovrebbero dirci qualcosa i dati che derivano da questa pandemia, durante la quale la maggior parte delle persone che hanno perso il lavoro sono donne.
"Secondo l’Istat, nel mese di dicembre su 101mila occupati in meno, 99mila sono donne – commenta Alice d’Ercole, segretaria della Cgil con delega alle pari opportunità. Un crollo vertiginoso di una situazione già di base critica, caratterizzata dalla disparità: "In media le donne guadagnano il 20% in meno degli uomini – continua – il 33% lavora part-time (contro il 9% degli uomini) e spesso è involontario. La quasi totalità dei congedi parentali sono fatte da donne, così come l’aumento del 15% delle dimissioni". Con questi numeri, chi avrebbe voglia di festeggiare?
Anche se ieri, in Regione, tra le cinque donne premiate ci sono due senesi: Claudia Sala, responsabile del Mad Lab di Toscana Life Sciences, che ha individuato e brevettato Italia gli anticorpi monoclonali, e Chiara Sacco, oltre ad avere ben 5 record del mondo nella disciplina indoor rowing di canottaggio, si è aggiudicata due ori ai mondiali in Ungheria.