MASSIMO BILIORSI
Cronaca

Picnic, musica e sogni. Pasquetta in campagna

Per Pasquetta si preferiva la campagna. Barattavamo la piazza con i (pochi) turisti del tempo, come nella foto di...

Per Pasquetta si preferiva la campagna. Barattavamo la piazza con i (pochi) turisti del tempo, come nella foto di...

Per Pasquetta si preferiva la campagna. Barattavamo la piazza con i (pochi) turisti del tempo, come nella foto di...

Per Pasquetta si preferiva la campagna. Barattavamo la piazza con i (pochi) turisti del tempo, come nella foto di Augusto Mattioli. Loro si impossessavano timidi di quel sacro mattonato, parevano comprendere chi nei secoli l’aveva nobilmente calpestato. E chiedevano ai banchetti qualche souvenir "effetto Venezia". Noi sceglievamo mete esotiche che si chiamavano (e si chiamano credo ancora) Belcaro, Geggiano e Pian del Lago. La mia A112 (rossa e nera con il fido scorpioncino disegnato) era piena di gastronomiche certezze, in una quantità tale da accontentare una truppa di soldati affamati.

Le ragazze ridevano eccitate dal primo sole primaverile, a noi bastava spesso un loro sguardo. Il boom economico era ormai alle spalle e la campagna aveva un odore buono, fatto di stalle, fiori e di quel caffè nei termos che non mancava mai. E seduti in cerchio si parlava di tutto, si ascoltava il mangianastri con una cassetta che evocava sogni: Genesis, Deep Purple e immancabili i nostri cantautori. Per questo la piazza non ci pareva adatta. Magari a sera tarda, quando il turista aveva già preso l’autobus nella piazza di San Domenico, dove ripartiva felice ma stanco.

La scampagnata era una tradizione che veniva da lontano, da quando il circondario si chiamava Masse e c’era sempre un parente che lavorava per qualche signorotto di primo Novecento. La mezzadria non muore mai. Era un giorno in più di festa, ma non imbrigliato dai pranzi di famiglia come il precedente, quella Pasqua da uova benedette e parenti che arrivavano da tutte le parti. I più esotici arrivavano a Brenna per bagnarsi i piedi con il Merse. La strada per il fiume era polverosa. Quando si sboccava sull’argine, il greto ci abbagliava, candido e lucente, con l’ossame dei suoi ciottoli sgretolati dal gelo e dalla canicola. L’argine era stretto, ci toccava camminare ad occhi bassi, con il cesto della colazione ben stretto, per non mettere i piedi in fallo, e quel luccicare dell’acqua ci stordiva, attirandoci. Faceva ancora freddo, il riverbero del fiume ci accendeva la fronte, un’arida fiamma ci crepitava in viso e fra i capelli.

Pasquetta è un giorno breve ma felice: le foglie delle canne stormivano nella brezza lieve e io mi divertivo a gettare nell’acqua cupa sassolini lucenti, che sollevavano brevi zampilli verdi, dove il sole entrava di traverso con un roseo bagliore. Eravamo abbandonati ad un sogno libero e felice. E cantavamo: "O mare nero, o mare nero… ".

Massimo Biliorsi