Siena, 10 aprile 2022 - Non ha ancora disfatto le valigie. Ogni sera le guarda sperando di non dover ancora riempire l’armadio della sua nuova camera. Come da un giorno all’altro ha raggiunto Siena, sa che potrebbe ripartire all’improvviso per tornare in Ucraina. Lì ad aspettarla c’è suo marito, i suoi affetti, il suo lavoro. Quella che si legge fin qui è una storia di guerra ordinaria. Una famiglia geograficamente divisa, la paura per un conflitto che distrugge, il racconto esemplare di una donna che fugge per sopravvivere, lasciando col cuore a pezzi chi resta lì per sopravvivere.
Ma dietro alla storia di Kateryna ci sono tante altre voci, voci di vite civili, di vite che non sono distrutte ma saranno segnate per sempre. Perché Kateryna D. (preferisce tenere nascosto il cognome) psicologa in un asilo in Ucraina, sa che quando tornerà nella sua terra dovrà rimettere insieme i pezzi di tutti quei bambini fuggiti e testimoni del terrore di questo tempo. "Mi sto preparando – racconta con grande lucidità – ci sarà tanto lavoro da fare. Avremo bambini che hanno subito violenze, che hanno vissuto nella paura. Sto studiando questi casi. Lì adesso sono spaventati, non comunicano, mangiano e dormono, se ci riescono. Per questo dovrò essere pronta ad ascoltare voci di guerra". Grazie alla sua occupazione qui a Siena ha trovato subito lavoro. "Ogni pomeriggio vado alla scuola Pascoli come mediatrice culturale. Sto con i bambini mentre le loro madri seguono il corso d’italiano. Cerco di farli giocare, senza parlare di guerra, ma loro ne parlano. Si sfogano, raccontano quello che hanno provato andando via di casa. Raccontano anche cose tremende. Hanno visto troppo".
C’è chi ha visto i soldati russi sparare alle persone in strada. Kateryna è riuscita scappare due giorni dopo l’inizio della guerra, quando sua zia da Bucha l’ha chiamata per dire quello che a loro stavano facendo.
«Ci bombardano , mi urlava. Ci sparano. Io non ci volevo credere, poi dopo poco ho visto gli elicotteri militari stanziare sopra al nostro orto, per controllare il ponte ferroviario che è proprio dietro casa nostra. Ho avuto paura, sono partita quella stessa notte, appena hanno spento la luce. Ho preso cose inutili, sono scappata in macchina. Ma sono ancora lì, vicina a mio marito che si prepara alla guerra, ai miei vicini di casa, alle persone che voglio bene. Sono tutti lì".
E se guarda al futuro non riesce a immaginarsi niente al di fuori di riprendere in mano la valigia e tornare nella sua casa. "Sarei pronta a ripartire anche adesso, non so se è la cosa giusta, ma ho un lavoro che mi aspetta". Non ci pensa che questa guerra è già una guerra che non finirà velocemente. Oppure lo sa, e nel suo "non so ancora se disfare le valigie", c’è tutta l’incertezza tramutata in speranza di fronte ad una guerra che, mentre ci siamo distratti ad ascoltare storie, si sta già disegnando come lunghissima.