MASSIMO BILIORSI
Cronaca

Quando gli alieni suonarono a Siena. Pochi intimi per gli immensi Genesis

Una foto una storia Il 17 aprile 1972 concerto indimenticabile al palasport. Banks: "Fantastiche risonanze"

Peter Gabriel con i Genesis a Siena, foto di Augusto Mattioli

Peter Gabriel con i Genesis a Siena, foto di Augusto Mattioli

Era il 17 aprile 1972 e un’astronave si fermò sopra al palazzetto dello sport di Siena e cinque alieni scesero per suonarci un poetico contrasto fra demone e purezza, tra eros e thanatos, raccontandoci le tante fiabe di "Nursery Crime". Poi abbiamo saputo che si chiamavano Genesis e che erano uno dei gruppi rock più acclamati del momento. Solo la metafora può spiegare che talvolta le fiabe si concretizzano e lascia no un’aurea di struggente nostalgia.

In quella primavera i Genesis arrivarono a Siena e la macchina fotografica di Augusto Mattioli era pronta ad accoglierli. Anche noi eravamo lì, a dire il vero non eravamo in molti, eppure erano giorni in cui il gruppo attraversava con successo in lungo e in largo il nostro paese. Eravamo sì è no cento persone a goderci Peter Gabriel, Toni Banks, Michael Rutheford, Steve Hackett, Phil Collins. Oggi non basterebbe mezza Milano per accogliere il pubblico che avrebbero questi cinque signori. L’attesa di tanti giorni era finalmente finita: quanto avevamo sognato con quella copertina meravigliosa, con la bambina disegnata che, novella Alice in Wonderland, sorride ieratica come una sfinge, mentre gioca a croquet dopo aver decapitato, con assoluta grazia, il piccolo compagno di giochi di nome Henry, come dice la canzone. Concerto storico: lo stesso Banks annoterà: "Ricordo il concerto di Siena che si tenne in uno stranissimo palasport dal soffitto molto basso, con un sacco di riverberi dovuti alla struttura dell’edificio: quella introduzione al mellotron non aveva suonato meglio, grazia a quella fantastica risonanza!".

Così storia e leggenda si mischiano assieme ai travestimenti di Gabriel, alla loro onirica musica. E ci ascoltammo, prima che risalissero sull’astronave e lasciassero questa terra, la Venere di Milo della "Fountain of Salmacis", il vecchio sognante di "Seven Stones", la pianta tossica di "Heracleum Mantegazzianum", fino all’Harold in precario equilibrio su un cornicione, salutandoci con le due vedove e il parroco di For Absent Friend. A pensarci bene non posso giurare che questo fosse tutto vero. Probabilmente fu uno solo uno splendido sogno vittoriano collettivo. Allora succedeva. Quello che è certo è che mi svegliai al mattino con sul comodino la copertina di Paul Whitehead. Si trattò di allucinazione benigna? Probabilmente sì, visto che, ironicamente, l’autore di quel sognante disegno aveva scritto 1871.

Massimo Biliorsi