Rossi, concessionaria Bianchi. La stirpe che forgia biciclette

Una foto una storia La famiglia di artigiani delle due ruote, in Camollia lo storico antro dei ciclisti

Rossi, concessionaria Bianchi. La stirpe che forgia biciclette

Rossi, concessionaria Bianchi. La stirpe che forgia biciclette

Siamo terra di ciclisti: fra Eroica e Giro d’Italia non fai in tempo ad uscire di casa che ti arrivano, anche controsenso, ovunque biciclette. Non si parla che di corse, protagonisti su due ruote, ciclabili e altre bellezze (in bicicletta ovviamente). Eppure Siena sembra tutto, meno l’ideale per pedalare: salite mozzafiato, viuzze strette che se un ciclista incontra un’auto non si sa mai come vada a finire. Sembra un flipper messo in bilico dove rotola un temporale. E nel mezzo un nutrito gruppo di pedalatori di ogni categoria, uniti nel credo di non scendere mai, nemmeno in mezzo ai pedoni.

Augusto Mattioli, inguaribile romantico, tempo addietro si è portato nell’antro dell’antico negozio-officina Rossi di via Camollia, per immortalare una passione che qui raggiunge i cento anni. Si legge "Rossi concessionaria Bianchi", sembra una metafora più che un gioco di parole. Cosa c’è più di machiavellico di una bici? Un poeta futurista, o un Malaparte, osserverebbe che sta in piedi per miracolo ma riesce a prendere il volo, in equilibrio su un filo di acciaio, come un acrobata sulla fune. Senza un briciolo di pudore, viola tutti i misteri del paesaggio, dell’orizzonte, della natura. Quando esce da certe officine, scivola sulla strada come sul filo di un rasoio, inclinandosi con grazia nelle curve, dondolando dolcemente in salita, gettandosi alla cieca verso le verdi vallate, verso l’abisso delle nostre ondulate colline.

Dentro all’antro dei Rossi, ricordo che in adolescenza c’era una bicicletta che per me assomigliava a una bella ragazza. Lo disse sussurrandolo a un amico e lui mi rispose: "Troppo magra per i miei gusti!", spezzando l’incanto di un sogno. Risposi che sarà forse un po’ magra, ma a me piaceva da matti. Mancava sullo sfondo il pianoforte e la voce rauca di Paolo Conte ed il quadro era fatto.

Perciò ho subito amato questa foto di Mattioli. Fuori dal campo dell’obiettivo, un ciclista in maglietta e cappello aspetta seduto. Immobile e in silenzio, sembra una macchina ferma. Si riposa e l’immagine è quella di una fabbrica in sciopero o chiusa per ferie. E guarda, nelle mani svelte del meccanico, la sua adorata: con il suo profilo slanciato, elegante, la linea come un teorema di Euclide, il manubrio ricurvo come le antenne di un insetto, capricciosa come la crepa incisa dal fulmine nello specchio azzurro di un cielo sereno. Movimento o riposo? Fuga del tempo o eternità? Non mi stupirei se significasse amore.

Massimo Biliorsi