ORLANDO PACCHIANI
Cronaca

San Galgano svela i suoi tesori. Intorno all’abbazia senza tetto riaffiora la città monastica

Università degli Studi e Comune di Chiusdino impegnate da anni in un grande progetto di valorizzazione dell’area. Valenti: "Un parco diffuso per ridisegnare l’attrazione turistica"

La ricostruzione virtuale della cittadella monastica a San Galgano

Siena, 11 giugno 2023 –  Pazienza, attenzione, ovviamente elevata competenza ma anche, alla base, una visione, l’idea di dove si vuole arrivare.

C’è un po’ di tutto questo nell’avvio della quinta campagna di scavi all’abbazia di San Galgano. Perché certo la ’chiesa-senza-tetto’ è un’icona di richiamo mondiale, come la spada nella roccia poco più in là a Montesiepi. Per uno storico e in questo caso un archeologo c’è, però, molto di più. "Fin qui si sono potute comprendere alcune dinamiche del cantiere edilizio della grande abbazia, della vita del complesso monastico anche a livello economico e commerciale. Ma resta ancora moltissimo da fare".

A parlare è Marco Valenti, docente di Archeologia medievale all’Università degli studi di Siena, allievo dell’indimenticato Riccardo Francovich, che ha tracciato le coordinate della disciplina e rappresentato un faro per generazioni di archeologi.

Lo scavo di San Galgano riprenderà dal 3 al 28 luglio e proseguirà dal 4 al 29 settembre. Alle spalle, a partire dal 2019, 150 giorni di indagine, oltre 1240 ore. "San Galgano è un contesto straordinario che può arricchire profondamente la conoscenza del medioevo toscano – afferma Valenti –. Intanto possiamo dire che la scoperta e la comprensione di una parte della città monastica, invisibile sino al 2021, ci fornisce ora una nuova e più completa rappresentazione di ciò che fu".

Approfondire la conoscenza di San Galgano avrebbe una rilevanza di per sé, ma ne acquista ancora di più se inquadrata in una collaborazione tra il dipartimento di Scienze storiche e dei beni culturali dell’Università degli studi e il Comune di Chiusdino che va avanti dagli anni ’90 del secolo scorso, quando fu realizzato il progetto della Carta archeologica della provincia. Un rapporto proseguito con le 17 campagne di scavo che dal 2001 al 2016 hanno interessato il castello di Miranduolo.

«In questo senso – osserva Valenti – San Galgano ha rappresentato una prosecuzione quasi naturale di questa collaborazione, nella prospettiva di realizzare un parco diffuso come strumento di attrazione turistica, basato sulla valorizzazione dei contenuti storici e paesaggistici del territorio". Ecco quindi i tre poli dell’intervento: San Galgano, con un percorso di visita rinnovato, il parco archeologico di Miranduolo in divenire, il paese di impianto medievale Chiusdino con i musei di arte sacra, già esistente, e di Miranduolo, in corso di realizzazione.

"In tutto questo – afferma Valenti – un ruolo chiave lo ricopre il Comune di Chiusdino con la volitiva e tenace figura del sindaco Luciana Bartaletti, vero motore dell’intera operazione, che ha ben chiaro il potenziale culturale e turistico dei contesti archeologici del territorio".

Una logica che il professor Valenti persegue da tempo, basti pensare alla felice operazione Archeodromo a Poggibonsi,e che parte dalla ricerca giorno dopo giorno basata sulle evidenze scientifiche. "Pazientemente l’archeologia sta rivelando storie sconosciute, una nuova dimensione del complesso di San Galgano, producendo conoscenza", sottolinea Valenti. In quel "pazientem ente" sta il senso di una ricerca quotidiana, nei piccoli passi che compongono il mosaico di una grande storia, quella di San Galgano in questo caso.

Cosa hanno rivelato finora quelle 150 giornate di scavo? Per esempio la composizione del pavimento o del tetto ("era in tegole e coppi, non in piombo come spesso suggerito dalle storielle popolari"). Oppure l’individuazione della cosiddetta "scala notturna, cioè il collegamento tra gli alloggi monastici e la grande chiesa, usata dai cistercensi proprio per evitare il passaggio dal freddo e dall’umido del chiostro soprattutto durante le cerimonie serali".

O ancora, l’utilizzo nel corso dei secoli, dalla conservazione di materiali edilizi al ricovero per animali fino agli anni ’20 del Novecento. "La chiesa è solo la punta di un iceberg molto più articolato – dice Valenti –, l’indagine è ancora in corso ma i risultati sono entusiasmanti". Alcuni esempi: l’impianto di deflusso delle acque del refettorio, le tracce di un palco che potrebbe aver ospitato il tavolo da pranzo dell’abate.

Insomma, la riscoperta di tante caratteristiche per Valenti diventano fondamentali, non solo per accrescere la conoscenza: "Progettare politiche di valorizzazione – conclude Valenti – deve tener conto dei risultati archeologici, in caso contrario la storia sarebbe incompleta e riduttiva. Conoscere e quindi poter raccontare correttamente consente anche di ridimensionare i problemi di vero e proprio consumo ai quali è soggetto il monumento per le visite selvagge, rallentando e concentrando i flussi su più zone da vedere e da capire". La pazienza, l’attenzione e la competenza nella ricerca, la visione del progetto.