di Giovanni Mazzini*
L’ultimo Palio di luglio ha lasciato in città una lunga coda di commenti e considerazioni irritati che hanno imperversato sui social. Si lamenta dai molti scontenti che "questo non è più Palio", intendendo con ciò che il cosiddetto sistema instaurato da Tittia negli ultimi anni abbia appunto snaturato la giostra plurisecolare. L’odierna civiltà perennemente interconnessa, che vive in una attualità permanente e totalizzante, induce i più ad interpretare ed analizzare esclusivamente il presente che avviene sotto i loro occhi, sganciandolo da qualunque prospettiva storica o da qualsiasi ipotesi di ragionamento sugli sviluppi futuri. Esiste solo ciò che avviene ora e qui, hic et nunc. Ma ci si scorda che l’inviso dittatore del Palio attuale – Tittia – prima di inanellare il primo dei suoi cinque allori consecutivi era stato a digiuno per tre anni (sette Palii), e già lo si dava per finito. Invece ora ai più sembra finito il Palio stesso. Il Palio doveva essere finito anche ai tempi di Trecciolino; ma di dominatori sul Palio ne sono passati tanti, in quattro lunghi secoli di carriere nel Campo, e tutti sono finiti, prima o dopo, tra le fila degli ex: bastava saper aspettare. Finirà un giorno, vicino o lontano, anche l’impero sardo-tedesco, che peraltro ha potuto estendere il proprio implacabile regime ’grazie’ alla quanto mai improvvida scomparsa di Brio, l’ultimo fantino guascone, che bilanciava i due opposti schieramenti di fantini e Contrade. Non considerare quanto peso abbia avuto la perdita nefasta di Brio – imputabile solo a un malvagio destino – nell’instaurarsi dello strapotere di Tittia, significa non avere obiettività di giudizio.
Ciò detto, è parimenti evidente che il Palio fatto così diverte sempre meno quei contradaioli che hanno vissuto il Palio com’era fino agli anni ’90. Se è vero, come ormai acclarato, che il Palio è sempre cambiato per rimanere uguale a se stesso, è pur vero che la componente ludica nel ’fare il Palio’ sta scomparendo a vista d’occhio. Al giorno d’oggi, intorno alla metà del pomeriggio del 29 giugno e del 13 agosto le monte sono ormai tutte assestate e, a meno di eventi forzosi come un infortunio o una palese inadeguatezza, non cambiano più fino al Palio. Sembra ormai tramontata per sempre anche l’usanza di far correre la prima prova a un ’ragazzo’, che così si faceva le ossa ed entrava nel circuito dei fantini di Piazza, oggi sempre più asfittico e palesemente inadeguato. Ma è indubbio che si debba addirittura dichiarare l’estinzione definitiva di una delle consuetudini più tipiche del Palio – e anche più divertenti – che contribuiva ad accrescerne il fascino e la vivacità, e che era segno dell’inventiva e dell’estro dei Capitani: ovvero lo scambio di monte. In era precellullare ci si divertiva scendere in Piazza nottetempo per verificare le notizie che impazzavano, mentre i meno notturni le avrebbero apprese soltanto l’indomani mattina. Ed era normale, nel corso delle prove, che un fantino ’scendesse’ da una Contrada per passare ad un’altra, o che due Contrade si scambiassero appunto la monta. Se accadesse oggi, i ragazzi nati dal 1990 in qua guarderebbero il fantino proveniente da una Contrada diversa come Colombo guardò i primi nativi americani.
Oggi questa dimensione giocosa, azzardosa, del Palio di non troppi (ma nemmeno pochi ormai) anni fa si va perdendo, consegnando sempre più influenza ai fantini e togliendo ai contradaioli il gusto di lambiccarsi con l’immaginazione sugli scenari più variopinti. Il Palio di questi anni ’20, così ingessato, ragionieristico, senza fantasia, con le prove sempre più farsesche, si riduce all’attesa spasmodica di uno iudicium dei, quale è diventata la corsa infernale che solo il volere del fato sbroglia, dissipando speranze ed ansie, ma mostrando come il ruolo della sottile arte dell’intrigo paliesco sia contato sempre meno.
*storico e commentatore tv