
Da sinistra Valter Fucecchi, Confesercenti, Simone Bastianoni, Università di Siena, Daniele Pracchia, Confcommercio, Massimo Guasconi, Camera di commercio
"La sostenibilità del cibo, il cibo per la sostenibilità": un gioco di parole che il progetto ‘Sole nel piatto’ ha tradotto in numeri. L’obiettivo è chiaro: conoscere la misura di sostenibilità di ogni portata - che dipende da vari fattori, come la tipologia del prodotto (per esempio un chilo di tonno ha lo stesso impatto di 100 chili di sgombro, più facilmente rinnovabile in natura), dalla cottura o dal condimento - è un vantaggio per il ristoratore, per il consumatore, per l’ambiente.
I piatti senesi si fanno così ‘ambasciatori’ della sostenibilità, delle buone prassi che nascono dai protocolli del Carbon Neutrality della provincia: ‘Sole nel piatto’, in questa prima fase, ha catalizzato l’interesse di molti addetti ai lavori (sia dentro che fuori le mura) che in un futuro prossimo, potranno avere nel loro menù portate con uno, due o tre soli, a seconda dell’impatto. Perché il sole? Perché l’uso di questa parola individua il valore della natura nel cibo. Il progetto è promosso dal Santa Chiara Lab ed è finanziato dalla Camera di Commercio con la collaborazione e l’adesione di Confcommercio Siena e Confesercenti Siena.
"Con questo progetto, che si avvale di una rigorosa procedura scientifica – dice Massimo Guasconi, presidente Camera di Commercio Siena-Arezzo –, si promuove la nostra cultura gastronomica e si riducono i rischi per la salute, temi a cui teniamo particolarmente".
"L’idea di coniugare la ristorazione con la sostenibilità è stato il leitmotiv dell’iniziativa – aggiunge Daniele Pracchia, direttore Confcommercio Siena – che mira a portare nel settore degli elementi di innovazione, purché sempre radicati al territorio. Molti turisti, basti pensare a quelli del Nord Europa, sono molto attenti al tema. All’autenticità va abbinata la chiarezza su cosa si mangia". Parola quindi a Valter Fucecchi, direttore Confesercenti Siena. "Se il turismo è un nostro punto di forza – spiega –, migliorare la qualità della ristorazione può attirare sempre più persone. Inserire nei menù l’impatto dei piatti, può essere un valore aggiunto, anche economico: è un’offerta alla domanda. Ora puntiamo a coinvolgere tutte le istituzioni locali compreso il Comune e a compiere un’azione di informazione".
"Sulla base dell’esperienza finanziata anni fa dalla Fondazione Mps sull’uso dell’indicatore ‘emergy’ – chiude Simone Bastianoni, docente di Chimica dell’Ambiente e dei Beni culturali – siamo arrivati alla presentazione di menù con gli impatti dei cibi. Il metodo, che si può identificare come un’impronta solare, ci dice quanto è rinnovabile quello che mangiamo. Nessun cibo è da criminalizzare, attenzione semmai alla frequenza del consumo".