Un autodramma per Monticchiello. Il borgo si fa palco del teatro povero

Gli abitanti del paese sono gli attori del “Velo della Sposa“ per la 58ª edizione della manifestazione

Un autodramma per Monticchiello. Il borgo si fa palco del teatro povero

Una scena di uno spettacolo che prende vita nel borgo di Monticchiello

MONTICCHIELLO (Siena)

Si intitola “Il velo della sposa”, ma non è ispirato a un romanzo rosa o alla classica storia d’amore: il messaggio è molto più profondo, pur nella leggerezza di uno spettacolo che nasce da una cooperativa di comunità e dalla voglia di mettersi in gioco dei cittadini del piccolo borgo incastonato tra le colline della Val d’Orcia.

Da stasera a mercoledì 14 agosto (tranne lunedì 29 luglio) torna infatti ‘in piazza e in scena’ il Teatro Povero di Monticchiello, in provincia di Siena, una tradizione drammaturgica sperimentale che si rinnova nell’edizione numero 58 e che ogni anno propone un nuovo spettacolo ideato, discusso e recitato dagli abitanti attori.

"Come sempre la nostra drammaturgia nasce da una fase assembleare collettiva che l’intera compagnia con gli abitanti del paese iniziano a mettere in piedi da circa metà gennaio. Parliamo tra di noi dello spettacolo dell’anno precedente, ci scambiamo idee e cominciamo a riflettere su quello che più ci può interessare. Insomma lo spettacolo stesso è una cosa che nasce spontaneo dalla nostra discussione" racconta Giampiero Giglioni co-regista e co-drammaturgo de “Il velo della sposa”.

I nuclei tematici emersi da questi incontri riguardavano la guerra, le esperienze legate al passaggio del fronte, al secondo conflitto mondiale, che c’erano state in questo territorio e avevano una certa consonanza con situazioni dell’attualità; era poi interessante vedere come all’interno di quel periodo siano nate alcune identità profonde della nostra nazione, del nostro modo di essere italiani, che da allora ancora oggi si ripercuotono sul dibattito pubblico.

"Una famiglia segnata, tra il 1939 e il ’43, dall’esperienza della guerra in cui un fratello e una sorella prendono vie differenti e rappresentano grandi nuclei ideali del nostro panorama culturale - spiega il drammaturgo -. Una piccola epopea familiare vissuta in tre momenti: ’39-’43 dove i protagonisti sono bambini, all’interno di un contesto agricolo mezzadrile dove si fa sentire la presenza del regime fascista; il 1960, momento di svolta della società italiana, che da civiltà agricola inizia a diventare industrializzata; infine l’epilogo è nel 2024, quando si tirano le somme di tutte questi trascorsi e i loro effetti sociali e psicologici sulle persone che vengono coinvolte".

Tipico degli spettacoli del Teatro Povero è prendere spunto da un racconto locale, per trasformarlo in qualcosa che parla di tematiche più ampie che risuonano per la società italiana nella sua interezza, andando a scavare nel profondo nella natura umana.

E un merito ancora maggiore deriva dal fatto che a recitare sono semplici cittadine e cittadini, non si tratta di attori professionisti: una delle chiavi dell’autodramma è che spesso tra persone e personaggio c’è una forte consonanza, quasi una sovrapposizione a volte.

"Spesso sul palco si chiamano coi loro nomi - continua Giglioni -. Questo aspetto è molto forte. E poi la nostra è una compagnia particolarissima dal punto di vista anagrafico: si va dai 5 anni ai 90. E il numero di componenti stesso è notevole, supera le 50 unità sul palco, poi c’è tutto il mondo dietro".

L’attesa è terminata, Monticchiello è in fermento, come in attesa che il rito di autoriconoscimentio di questa piccola comunità si compia e la magia riempia le sue stradine.

Marianna Grazi