di Orlando
Pacchiani
Servirebbe una sorpresa a tempo scaduto, come quando il Manchester United vinse una Coppa dei campioni con due reti oltre il 90’, beffando il Bayern Monaco. O, più prosaicamente, la possibilità di mettere in campo quella golden power che un po’ tutti evocano ma di cui nessuno ha ancora capito la reale capacità di impiego. La crisi Beko è esplosa in tutto il suo fragore, dopo già tante sofferenze e cassa integrazione. Sarà un anno lunghissimo, a meno di quel miracolo di cui sopra, per 299 lavoratori e le loro famiglie. E lo sarà anche per una città che stenta ancora a (ri)definire il proprio futuro e sulla quale si innesta ora una delle più gravi crisi occupazionali della sua storia. Già gli orizzonti sono ancora da delineare su molti fronti: Banca Monte dei Paschi è tornata in salute ma, dopo le possenti cure dimagranti sul fronte occupazionale, quali scenari si aprono? Se dovesse essere davvero fusione - a condizioni diverse da qualche anno fa, ma sempre fusione - cosa ne sarà dei centri direzionali a Siena? Ci sono poi le sfide imposte al commercio e alle attività ricettive da questi tempi fluidi di vendite on line, turismo di rapido passaggio e scarsa spesa, ospitalità diffusa. Quale futuro aspetta una città che non è ai livelli catastrofici che taluni sostengono (qui si vive ancora bene), ma che sicuramente deve ritrovare una sua identità che non sia solo godere delle meraviglie ereditate dal passato? Su questi aspetti saranno chiamate a misurarsi le istituzioni e la politica in genere. E la sensazione, più di una sensazione, è che manchi la capacità di guardare alla Siena del 2050, talvolta anche a quella del 2030. Non per fare il verso agli obiettivi più o meno avveniristici lanciati dalle grandi organizzazioni internazionali, ma per provare a determinare il destino della città e soprattutto delle generazioni cui la lasceremo. La crisi Beko parla (anche) di questo: quale città, quale territorio immaginiano per i nostri figli. E oggi il barometro tende al negativo.