"Si parla di una vicenda giudiziaria che è durata moltissimi anni. Credo che sia necessario mettere un punto fermo, che non vuol dire necessariamente un punto fermo legato alla verità ma ad una verità processuale. Sono due cose diverse. Dico questo ribadendo con forza che ritengo i miei clienti totalmente innocenti, non solo perché l’ha detto la giustizia". L’avvocato Luigi De Mossi interviene su una delle vicende più delicate che hanno avuto come palcoscenico anche la provincia di Siena. Una sorta di film dell’orrore le accuse mosse nei confronti della coppia affidataria di una giovane ormai diventata donna. Costellata di denunce e contro-denunce, di esposti e archiviazioni nel corso del tempo. Accuse di riduzione in schiavitù, di abusi, di violenze di gruppo (anche durante presunti riti satanici) e stupri che sarebbero avvenuti avvenuti appunto fra la Lombardia e il Senese. Il 6 marzo scorso nell’udienza davanti alla prima sezione della Corte di assise di appello è stata confermata la sentenza di assoluzione di quasi 5 mesi prima, quando il pm aveva chiesto 8 anni per il marito, difeso da De Mossi, e 6 per la moglie, assistita dall’avvocato Francesco Poggi, con rito abbreviato. Furono come detto assolti con formula piena.
Avvocato De Mossi, i giudici si sono presi 90 giorni per il deposito delle motivazioni alla luce delle quali ci può essere un ricorso in Cassazione.
"Probabile che ci sia ma con la sentenza doppia conforme ritengo che sia un percorso in salita nell’eventualità che le parti vogliano rivolgersi alla Cassazione. Leggeremo le motivazioni in modo puntuale però mi pare che l’assoluzione lasci poco spazio per un eventuale ricorso di legittimità. Tengo a sottolineare un altro aspetto fondamentale..."
Sentiamo.
"Cosa può diventare una vicenda quando entra nel mezzo una comunicazione che non è giornalismo giudiziario. Il rischio è che diventi sotto certi profili circo mediatico".
Spieghi meglio.
"Indubbiamente gli imputati hanno avuto contraccolpi significativi dal punto di vista sociale. Vivono in un paese piccolo, Locate Varesino. Se il giornalismo giudiziario è adeguato allora comunque ci può essere un equilibrio, diversamente se è molto sbilanciato diventa una gogna sociale. Un tema di assoluta importanza. Abbiamo avuto la fortuna a Milano di giungere all’appello in un un breve arco di tempo, confermando appunto l’assoluzione dell’autunno scorso. La durata dell’attività giudiziaria a volte sottopone le persone a difficoltà. Nel caso in esame parliamo come detto di molti anni e anche di una tipologia di contestazioni che indubbiamente ’chiamano’ la stampa. Purtroppo non solo il giornalismo giudiziario. Oltretutto capita spesso che anche quando si ottiene un risultato positivo non c’è mai lo stesso clamore di quando vengono mosse le accuse. Ovviamente ci sono sensibilità legittime in ordine ad una situazione sociale molto complessa".
A cosa si riferisce?
"C’è una soglia di attenzione, parlo in generale, verso certi tipi di reato particolarmente significativa. A volte esasperata che, ripeto, provoca una gogna sociale nei confronti di chi la subisce. Non solo l’imputato ma anche le parti offese. Spesso diventa una ’guerra’ di comunicazione, non giornalismo giudiziario. Un dato sul quale occorre a mio avviso riflettere. Inoltre, quando gli avvocati si occupano a lungo di vicende come questa, alla fine il cliente diventa un percorso della tua vita. Certi tipi di processo entrano a far parte della tua vita, non dovrebbe accadere ma con vicende di questa lunghezza e anche drammaticità può accadere. In primo grado la procura aveva chiesto per il mio assistito la condanna a 8 anni! Non ho mai provato acrimonia nei confronti delle controparti in tribunale perché alla fine sono sempre vicende che, indipendentemente dal risultato, lasciano un segno. Quando un processo finisce, magari andato anche bene, ci sono comunque ferite difficili da rimarginare per tutte le persone protagoniste, che abbiano torto o ragione. C’è stata di recente un’altra vicenda, legata ad una presunta violenza sessuale da parte di un ragazzo giovane che abita in un paese della nostra provincia. Come avrà vissuto l’intervallo di tempo fra il primo grado condannato e poi assolto?"
Intrattenimento, diceva, da separare da giornalismo giudiziario.
"Bisognerebbe riuscire a distinguere, specie televisivamente, fra i due per evitare di confondere la realtà giudiziaria con le affermazioni che si fanno in tivvù o in qualche giornale in modo molto diretto. Altrimenti rischiamo di trasformare il medium in messaggio, il processo penale in un’operazione mediatica. E’ una questione in cui in futuro occorre riflettere. Ci sono bravi giornalisti giudiziari ma il rischio è che se ne occupino persone più propense allo spettacolo".
La.Valde.