Sembrava quasi impossibile, la sera del 3 novembre 1966, che l’Arno potesse scavalcare le spallette e violare Firenze. Ma verso le 20, la pioggia cominciò a diventare scrosciante, infinita. E l’allora capo della cronaca, Elvio Bertuccelli decise di scrivere qualcosa di più dettagliato su quel maltempo che da giorni non dava tregua. Mise al lavoro tutti i colleghi, con una specie di sesto senso.
Quando arrivarono le prime segnalazioni di qualche allagamento a monte della città, un po’ per mestiere, un po’ per intuizione, Bertuccelli fece preparare due sommari in tipografia. Uno di questi era "L’Arno straripa a Firenze". Fu lui stesso negli anni successivi a raccontare quelle ore drammatiche, in cui la cronaca fece il suolo lavoro fino in fondo, preparando un giornale che riuscì comunque a vedere la luce, prima che le acque limacciose del fiume nella notte invadessero il salone delle rotative inaugurato da appena tre mesi. Venne distribuito in pochissime copie la mattina del quattro novembre mentre l’acqua invadeva la città violando strade e case.
In quelle ore così difficili, mentre era chiara ormai la percezionee della catastrofe, La Nazione rimase viva: giornalisti e corrispondenti avevano garantito il flusso delle notizie, chiamando da case private e poi tornando in redazione dopo viaggi avventurosi in mezzo al fango, le maestranze cercavano di strappare al fiume macchinari e strumenti essenziali di lavoro. Anche senza corrente elettrica, con le linee telefoniche che progressivamente smisero di funzionare, alla luce di candele, in via Paolieri, si continuava a lavorare. Di quei momenti drammatici, sono rimaste nella storia le ultime parole di Carlo Maggiorelli, la prima delle 35 vittime dell’alluvione. L’uomo, 52 anni, lavorava all’acquedotto dell’Anconella. Aveva il turno di notte. Fu lui a rispondere alla chiamata di Giuseppe Peruzzi, cronista che voleva sapere quale fosse la situazione dell’acquedotto e della zona di via Villamagna. "È un disastro, si affoga tutti – rispose con voce concitata – alle una abbiamo cominciato a staccare i motori".
Cercarono di convincerlo ad andarsene. Rispose che non poteva abbandonare la sorveglianza degli impianti. Morì al suo posto di lavoro. Lo trovarono 2 giorni dopo, in un cunicolo pieno di fango.
Colpita ma non piegata da questo evento terribile, Firenze diventò compatta. E La Nazione fu lo strumento attraverso il quale la città riuscì a far sentire la sua voce a Roma e in tutto il mondo. Per il giornale fu una enorme prova di forza, resa possibile dall’editore e da tutta la squadra di lavoro. Già nel pomeriggio del 5 novembre, una prima edizione straordinaria de Il Resto del Carlino (in versione speciale per La Nazione come riportato in testata) venne distribuita in città.
Eppure si doveva fare ancora di più, perché l’informazione non poteva mancare in un momento così difficile. A spazzare via ogni dubbio fu il direttore Enrico Mattei, che il 5 novembre era riuscito a raggiungere Firenze da Roma dove si trovava nella notte dell’alluvione. Si presentò in redazione accolto dai colleghi e dai poligrafici. Quello che disse a tutti non lasciava adito a interpretazioni: "Stanotte il giornale deve essere in stampa e domani in edicola. I colleghi del Carlino ci mettono a disposizione la loro tipografia. A noi non resta che cercare le notizie come sempre, stendere i nostri articoli con un anticipo di qualche ora e poi arrivare a Bologna. Buon lavoro signori, so che farete un ottimo giornale".
Quando il giornale fu pronto, la squadra di giornalisti, linotipisti, correttori di bozze e rotativisti, arrivò a Bologna dopo un viaggio piuttosto epico sull’autostrada. Ad accoglierli c’era Giovanni Spadolini, allora direttore de il Resto del Carlino. Il giornale andò in stampa alle 4 di notte. L’apertura della prima pagina aveva un titolo a nove colonne: "Firenze devastata dall’Arno vive con calma ore tragiche".
Fu il primo segno della resilienza di Firenze. Accompagnato dalla determinazione dei giornalai che, agguerriti, cominciarono a distribuire le copie ai fiorentini affamati di informazione. Nell’era dell’informazione globale, delle notizie in tempo reale, il racconto di quelle ore suona come una commovente epopea. La furia dell’Arno aveva come spento la luce su Firenze, tanto che nelle prime ore le istituzioni centrali non ebbero chiaro il quadro della gravità della situazione. Ma La Nazione tornando in edicola, permise di accendere dei fari sulla devastazione presente in città e sulla necessità di intervenire rapidamente per aiutare le persone e salvare le meraviglie artistiche della culla del rinascimento, sfregiate dal fango e dalla nafta.
A dare la sveglia alle istituzioni furono proprio i fondi del direttore Mattei, la cui voce di commentatore politico era ascoltata negli ambienti romani. ll più intenso è forse quello nel quale si rivolge direttamente al presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat, con una lettera aperta pubblicata nell’edizione del 10 novembre. Sono passati sei giorni dall’alluvione, e la città è ancora senza pompe idrovore, abbracciata da una massa di fango fetido, senza luce e servizi. Mattei non usa mezzi termini: "Con la sua visita, signor Presidente, Ella dette l’impressione di aver capito la tragedia di Firenze ... il suo nobile appello di ieri ce l’ha confermato... Ma una visita, un appello non possono risolvere il problema di una città ... Stimoli lei, signor Presidente, gli uomini che governano lo Stato. Situazioni come quella della nostra città non si fronteggiano con la ordinaria amministrazione. Abbiamo bisogno che sia concentrata a Firenze una massa di ruspe, auto-pompe, autocarri. Siano requisite dove si trovano. E si mettano subito in azione, sotto la guida di un uomo energico e capace, che abbia pieni poteri. Per ricostruire Firenze saranno necessari mesi ed anni: ma per risanarla, ripulirla, disinfettarla debbono bastare pochi giorni, pochissimi, o sarà troppo tardi".
Le cose oggettivamente cominciarono a cambiare tanto che il gorno dopo il titolo di apertura era "Ma allora si poteva!". La Nazione per settimane attaccò con forza il potere centrale che non vedeva o non voleva vedere la gravità della situazione. Fu un pungolo per i burocrati e un sostegno per i fiorentini che grazie alla puntualità del lavoro svolto dalla grande squadra del giornale ebbero notizie di servizio, indicazioni preziose e un quadro della situazione. L’informazione tempestiva oggi è uno dei punti cardine del moderno sistema di protezione civile in caso di grandi emergenze e calamità. Sicuramente il primo caso di scuola nasce a Firenze grazie alla determinazione e al senso di responsabilità di un’azienda che potendo contare su una grande squadra di lavoro, scelse di non soccombere alla calamità e di non rinunciare al prorio ruolo sociale, ma di reagire, garantendo ai cittadini il proprio diritto costituzionale a essere informati e soccorsi.