OLGA MUGNAINI
165 anni

Le conquiste al femminile: "Il cammino è ancora lungo ma adesso sappiamo ascoltarci"

Chiara Francini e le tappe degli ultimi 165 anni che conducono verso la parità di genere "La donna ha imparato a reputare sacrosanto avere piena facoltà, indipendenza e libertà".

Le conquiste al femminile: "Il cammino è ancora lungo ma adesso sappiamo ascoltarci"

Le conquiste al femminile: "Il cammino è ancora lungo ma adesso sappiamo ascoltarci"

Signora Chiara Francini, Il 14 luglio 1859 uscì per la prima volta La Nazione. Il suo primo direttore fu Leopoldo Cempini. Ne sono seguiti un’altra cinquantina, tutti uomini, fino al 1° agosto 2019 quando è arrivata la direttrice Agnese Pini. Come è cambiato in 165 anni il ruolo della donna in Italia?

"Per parlare di passi avanti negli ultimi 165 anni, credo sia necessario andare a individuare quelli che sono state le leggi che hanno cambiato la vita dalle donne, a partire dal 1945, quando quelle maggiorenni, che avevano compiuto i 21 anni, hanno visto il loro riconoscimento al voto. E poi dal 1946, quando è stata data loro la possibilità anche di essere elette. C’è poi il 1963, quando il parlamento ammette alle donne di essere ammesse ai pubblici uffici e alle professioni. Altrettanto importante è il 1970 con la legge sul divorzio e nel 1974 l’approvazione definitiva. Un anno dopo fondamentale è la nuova legislazione sul diritto di famiglia, dove per per la prima volta si stabilisce la parità dei coniugi e la separazione dei beni. Un cammino che porta al 1978 con la legge 154 che legalizza l’interruzione volontaria della gravidanza. Non possiamo scordare il 1981 che abolisce il diritto d’onore".

E nel nuovo millennio, cosa sottolineerebbe?

"Nel 2010 abbiamo conquistato la parità del lavoro, nell’ambito della quale non si è certo ancora raggiunta l’uguaglianza, anche se esistono punti fermi verso cui impegnarsi. Penso che in tutti questi anni la donna abbia imparato soprattutto ad ascoltarsi e a superare questo quasi innato senso di colpa che ha, a prendere contezza di sé, ad avere la capacità di reputare giusto e sacrosanto di avere piena facoltà, indipendenza e libertà. Il percorso è ancora molto molto lungo, ma parte sempre da una piena consapevolezza di se e dall’ascolto".

La Nazione è sempre stata fortemente radicata al suo territorio, toscano, umbro e anche ligure, ma soprattutto fiorentino. In cosa pensa sia più evidente questo legame?

"E’ radicata perché parla di noi. Ricordo che fin da bambina non ho mai sentito dire “vado a comprare il giornale“, ma “vado a comprare La Nazione“".

Si ricorda un primo articolo che ha letto sul giornale?

"No, ma ho sempre avuto una grande reverenza verso quello che era considerato il nostro quotidiano, perché era fonte di cultura, e il mio era quasi uno sfogliare religioso".

E la prima volta che La Nazione ha parlato di lei in un articolo?

"Probabilmente è stato sulle prime cose che ho fatto legate al cinema. E poi probabilmente al teatro. Ricordo quei primi articoli con grande emozione, persino agitazione. La mattina correvo subito dal giornalaio..."

Lei è nata a Firenze, cresciuta a Campi Bisenzio e si è laureata all’Università di Firenze. Cosa rappresenta tutto ciò per lei?

"Significa che sono come un biscotto nel caffellatte, impregnata di tutte le sfaccettature e colori della toscanità. Sono cresciuta in un paese, ho frequentato il liceo classico e l’università a Firenze. E quindi ho potuto nutrirmi di tutto lo scibile toscano, l’apertura, la saggezza. Per me è stato un continuo risciacquare i panni in Arno. Diciamo che quello che sono lo devo anche,e soprattutto, ad essere stata imbevuta di tutto questo paniere di delizie".

Restando sull’Università, lei ha fatto una tesi d’italianistica sulla Retorica dell’Ermeneutica. Che valore ha oggi la parola scritta?

"Sì, ho fatto un tesi tesi in italianistica sulla Retorica dell’Ermeneutica, in particolare sul dialogo nel XVI secolo, e credo proprio che la parola scritta abbia un valore fondamentale. A parte il fatto che “verba volant, scripta manent“, la capacità di mettere nero su bianco un ragionamento è il primo passo per l’approfondimento. La parola scritta è come l’alfabeto della cultura, da cui non si può prescindere, perché lo scritto ha bisogno di serietà e di tempo. Per cui io, anche se appartengo alla generazione che ha usato il computer, e anche se sono molto moderna, credo che i libri siano insostituibili. Perché tutto parte dallo studio dei testi, che per l’appunto sono scritti".

Lei ha lavorato in teatro, nel cinema e in tv. Ma cos’era la cultura 165 anni fa rispetto ai nostri tempi?

"La cultura un tempo era elitaria, legata all’idea di fatica. E in molti ambienti c’era l’idea che non collimasse esattamente con la possibilità e la capacità di fare soldi. Ma era sicuramente caratterizzata da un alone di sacralità, di dedizione e aveva addirittura anche alcune venture di abnegazione, che adesso si sono perse".