FABRIZIO MORVIDUCCI
165 anni

Quando La Nazione cambiò casa . Un gioiello di architettura moderna

Lo stabilimento progettato da Pier Luigi Spadolini, costruito in cinque anni e inagurato il 24 giugno 1966

Quando La Nazione cambiò casa . Un gioiello di architettura moderna

Quando La Nazione cambiò casa . Un gioiello di architettura moderna

E’ un gioiello di architettura contemporanea. E ancora oggi lo stabilimento de La Nazione, segna il passaggio tra il viale Giovine Italia, largo Annigoni e il quartiere di Santa Croce. Venne costruito tra il 1961 e il 1966 sulle ceneri dell’ex teatro giardino Alhambra. Per la nuova sede del giornale, il progettista fu l’architetto Pier Luigi Spadolini, che pensò un complesso con quattro corpi di fabbrica a più piani, sfalsati tra loro. Due piani per l’ala produttiva, 4 per il centro redazionale e direzionale.

All’esterno c’era il garage che ospitava le auto di servizio e ’la scuderia’ di trenta furgoncini che si occupavano ogni notte di distribuire il giornale fresco di stampa in tutte le zone di distribuzione. Nel pieno del boom economico degli anni Sessanta, il progresso tecnologico impose l’espansione in una sede più moderna e più adeguata ai processi produttivi.

Così "La Nazione" abbandonò il vecchio e glorioso edificio di via Ricasoli per trasferirsi il 24 giugno 1966 nella nuova struttura che non era solo uno stabilimento, ma anche un tributo all’architettura contemporanea nella città del Rinascimento e un pezzo pregiato per lo skyline cittadino. Si fece ricorso alle esperienze più interessanti dei maggiori giornali di Europa e di America, accuratamente studiate sul posto. Le strutture vennero realizzate su una area di novemila metri quadrati, di cui circa cinquemila coperti, gli altri a strade e giardini con prati alberati.

Il volume complessivo dei fabbricati, garage compreso, era di ottantamila metri cubi, l’equivalente di un edificio di mille vani. La zona prescelta per questo eccezionale insediamento era appunto parte dell’area sulla quale si trovava l’Alhambra. Ai margini del centro storico della città, in un rettangolo compreso tra Borgo la Croce, piazza Ghiberti, via dell’Agnolo e viale Giovine Italia. Siamo a quattrocento metri in linea d’aria dalla basilica di Santa Croce e a seicento dal campanile di Giotto.

Dalla grande terrazza del più alto dei fabbricati, quello degli uffici, si gode di un panorama circolare unico sulla città di Firenze e i colli che le fanno corona. Il cuore pulsante di questo stabilimento era il salone della composizione e della impaginazione, realizzato senza appoggi centrali in cemento armato precompresso con casseforme perse. Ha una superfcie di 1.000 mq, un volume di 6.000 metri cubi. All’epoca conteneva 40 linotypes; i banchi per l’impaginazione si stendevano per un quarto di chilometro. Di notte, nella fase culminante della realizzazione del giornale, si trovavano a lavorare in questo salone fino a cento persone fra giornalisti e tipografi. Era il regno dello storico direttore di tipografia, Omero Zaccherini, che inaugurò il salone e lo fece ripartire pochi mesi dopo l’alluvione.

Il passaggio dalla stampa ’a caldo’, così si chiamava quando per fare il giornale si usavano la linotype, a quella a freddo, con gli attuali computer, ha fatto sì che la necessità di spazio per la produzione sia cento volte inferiore. Ma la frenesia notturna in quel salone, i ricordi di chi ha vissuto quegli spazi dove poligrafici e giornalisti lavoravano a braccetto correndo per mandare il giornale in stampa nei tempi previsti, hanno segnato intere generazioni di lavoratori, e sono il cuore della grande passione che rende unica la carta stampata.