Una vasta esposizione di documenti. In viaggio tra pezzi rari e inediti

Compositore internazionale-popolare, Puccini. Un artista come nessun altro, osannato dalle platee di tutto il mondo e al contempo...

Compositore internazionale-popolare, Puccini. Un artista come nessun altro, osannato dalle platee di tutto il mondo e al contempo spesso “umiliato e offeso” dalla critica fino a qualche decennio fa. Proprio il successo planetario, l’aver fatto breccia nei cuori delle platee di ogni dove, gli costò la tremenda stroncatura del musicologo Fausto Torrefranca, che, nel 1912, nel saggio Giacomo Puccini e l’opera internazionale, accusò la musica di Puccini di smaccata e bassa commercialità.

Le “chiusure”, chiamiamole così, andarono avanti a lungo. Si pensi che ancora nel 1956, alla vigilia del centenario della nascita, Joseph Kerman in Opera as Drama, libro edito a New York, giudicò il tessuto musicale delle opere pucciniane alla stregua di «banalità da caffè concerto». Poi, a partire dal centenario della nascita celebrato nel 1958, e ancor di più dagli anni Ottanta del secolo scorso, i rapporti tra l’opera pucciniana e la critica specializzata si incanalarono nell’alveo di giudizi critici più sereni e approfonditi, più meditati e motivati.

A onor del vero, anche Puccini nel giudicare interpreti e direttori d’orchestra delle sue opere talvolta non fu tenero, anzi ci andò giù pesante. Il successo di cassetta, insomma, a Puccini non fu perdonato, almeno da parte di alcuni addetti ai lavori. Si consideri che Puccini si affermò come divo in epoca precinematografica. Il divo, potremmo dire, della porta accanto.

Si legga quanto Ugo Ojetti, principe del giornalismo culturale, scrisse in un ritratto di Puccini del 1923, un anno prima della scomparsa del Lucchese: «Non si veste da genio, non parla da genio, non ha né il cipiglio né la chioma del genio. È l’italiano più conosciuto in questo mondo: voglio dire conosciuto non solo di nome ma anche nell’opere sue, dalla Scozia all’Argentina».

Il centenario della morte di Puccini deve in primo luogo rappresentare un momento di riflessione e di analisi approfondite, anzitutto scevre da pregiudizi di vecchia e di nuova data. La mostra La Nazione di Puccini si rivolge sia al vasto pubblico sia a quello più addentro alle faccende pucciniane. Un percorso che si è avvalso dei principali contributi in materia.

dei principali contributi in materia.

Un’esposizione alla ricerca di un uomo e di un artista per molti aspetti da scoprire e valutare appieno. Al punto che si potrebbe dire, esagerando ma nemmeno troppo, che a cento anni dalla morte, la critica italiana ha appena iniziato ad affrontare con decisione il “fenomeno Puccini”. Negli ultimi decenni, va però sottolineato, la ricerca ha risentito di ostacoli e resistenze moralistiche discutibili. Con le sue passioni e la sua appassionata esistenza, Puccini in vita attirò su di sé l’interesse di giornalisti, critici e studiosi. E ancor di più dopo la sua morte.

Nel corso dei cento anni che ci separano dalla sua morte, la bibliografia sul Maestro lucchese è cresciuta copiosa in molte lingue. Non poteva essere altrimenti, considerata la notorietà e le alte vette artistiche raggiunte. Una fama che trova rare analogie quanto a “fortuna” artistica e diffusione popolare.

Puccini è fra i compositori tuttora più richiesti. Tira, tiene banco, fa sold out nei teatri. La mostra La Nazione di Puccini consta di 15 pannelli double face: con grafica coinvolgente si ripercorre la vicenda umana e artistica di Puccini, autore di dodici opere patrimonio dell’umanità. In particolare, propone una scelta di articoli e servizi, brevi segnalazioni comprese, che La Nazione dedicò alle opere del Maestro che si avvicendarono sulle scene fiorentine e toscane.

La collezione consultata appartiene all’Archivio storico de La Nazione conservato nello stabilimento Nazione conservato nello stabilimento iniziato ad affrontare con scoprire e valutare appieno. Al punto che si potrebbe dire, esagerando ma nemmeno troppo, che a cento anni dalla morte, la critica italiana ha appena iniziato ad affrontare con decisione il “fenomeno Puccini”. Negli ultimi decenni, va però sottolineato, la ricerca ha risentito di ostacoli e resistenze moralistiche discutibili. Con le sue passioni e la sua appassionata esistenza, Puccini in vita attirò su di sé l’interesse di giornalisti, critici e studiosi. E ancor di più dopo la sua morte.

Nel corso dei cento anni che ci separano dalla sua morte, la bibliografia sul Maestro lucchese è cresciuta copiosa in molte lingue. Non poteva essere altrimenti, considerata la notorietà e le alte vette artistiche raggiunte. Una fama che trova rare analogie quanto a “fortuna” artistica e diffusione del Centro Stampa del Centro Stampa Poligrafici, in via delle Tre ville a Capalle. E alcune immagini provengono dal fondo giornali e riviste della Biblioteca delle Oblate di Firenze.

Grazie alla cortese liberalità del marchese Piero Antinori si è attinto al prestigioso Archivio della Famiglia Antinori, dove sono conservate 161 lettere che Puccini inviò a due suoi grandi e illustri amici di caccia: il marchese Piero Antinori e il conte Giuseppe della Gherardesca. Inoltre è stata concessa la pubblicazione di immagini fotografiche che testimoniano gli stretti rapporti amicali che andarono oltre la comune e inguaribile le passione venatoria. Sempre dal medesimo archivio provengono le riproduzioni di lettere e cartoline che Puccini spedì da Torre del Lago, Chiatri, Milano, Roma, Londra e New York, e altre tratte da album di ricordi, che ritraggono il Maestro durante i suoi sempre agognati soggiorni nell’incanto di Capalbio e Bolgheri. Puccini non ha lasciato un’autobiografia sebbene fosse «un soggetto affascinante», come ha scritto Mosco Carner nella prefazione al suo Puccini, fondamentale biografia critica uscita nel 1958, in occasione del centenario della nascita.

In questo senso, Puccini fu davvero poco “wagneriano”. Il genio di Lipsia, è risaputo, fu abile divulgatore di sé stesso. Oltre alla “musica dell’avvenire” pensò all’avvenire del proprio culto, del proprio mito, romanzandolo sapientemente. Puccini ha dispensato poche e laconiche notizie biografiche nel mare magnum del suo ricco epistolario, fra i più belli e godibili nel suo genere. Dalle lettere si evince che Puccini era in molte faccende affaccendato per romanzarsi. Era intento a vivere il presente. Troppo indaffarato com’era a scrivere musica, a cercare e poi cestinare libretti, a cacciare a moto perpetuo, a costruire ville in luoghi impervi, inaccessibili. E che dire del fumo? Sigarette, “toscano” ammezzato e pipa. Non si fece mancare niente quanto a tabagismo. Puccini fumava come una ciminiera, con piena solidarietà, almeno in questo, di Elvira accanita fumatrice quasi al suo pari. Approfittando di una vacanza in Egitto, durante una visita alla Manifattura Tabacchi del Cairo, Puccini ordinò sigarette personalizzate con una particolare miscela ed etichettate a suo nome.

Come se non bastasse, Puccini poeta e linguista coltivava il satirico vizio popolano di affibbiare divertenti e astrusi nomignoli a parenti e amici intimi, crogiolandosi talvolta in grossolane volgarità fuori dalle righe, talvolta da far rizzare le orecchie. Indaffarato, eccome, ad amare le donne, quindi non solo Elvira che gli fu comunque, nel bene e nel male, compagna di una vita. Questo l’uomo e l’artista inimitabile Giacomo Puccini: lucchese, non senza risentimenti per la sua città, e cittadino del mondo. Puccini va accettato in tutto e per tutto.

Puccini va preso in toto, «con i suoi limiti, le sue tare, anche le cadute» per dirla con Gianandrea Gavazzeni. Richard Wagner, teutonico artefice dell’“opera d’arte totale” si fidava solo di sé stesso, si scriveva pure i libretti. La ricerca del libretto e di collaboratori che lo assecondassero appieno, che cogliessero al volo quel “qualcosa” che solo lui sapeva cosa fosse, fu invece l’inseparabile e ineliminabile tormento di Puccini. I conflitti con i librettisti, secondo la felice metafora di Mosco Carner, erano «delle feroci partite di tiro alla fune». Comunque, fra gli gli alti e bassi del suo carattere ondeggiante, Puccini si godette totalmente la vita. Puccini, grafomane notturno di rara qualità e quantità, ritenne di non autobiografarsi, o semplicemente non gli passò per la testa.

Per farla breve, non si immortalò. Magari la sua diretta testimonianza ci avrebbe risparmiato stucchevoli leggende fiorite poi imbellettate e sempre pronte a risbocciare. Se ne potrebbe ormai fare volentieri a meno, vista e considerata la fondamentale documentazione di cui finalmente si dispone, in primo luogo l’Epistolario dell’Edizione Nazionale delle Opere di Giacomo Puccini, istituita con decreto del Mini-stero dei Beni e le Attività Culturali del 2 agosto 2007, pubblicata da Leo S. Olschki Editore di Firenze. Ai tre tomi dell’Epistolario finora usciti, fonte di primaria inmportanza, si affiancano i carteggi pucciniani ad personam – Caro Mi’ele (con il fratello minore Michele), Caro Ferro (con l’amico pittore Ferruccio Pagni) e Cara Topisia (con la moglie Elvira, in due volumi, il secondo in uscita nel 2025) – tratti dall’Archivio della Fondazione Simonetta Puccini per Giacomo Puccini di Torre del Lago.

Malinconicamente “vitalistico”, percorso da sottile vena di decadentismo, Puccini si curò poco o niente dell’altrui giudizio, a cosa avrebbero pensato di lui i posteri. Ma i posteri non si dimenticarono e non si dimenticheranno mai di lui, La Nazione compresa. Un “dialogo”, quello tra La Nazione e Giacomo Puccini, che non si è mai affievolito, semmai intensificato grazie a numerosi e puntuali articoli usciti nelle edizioni locali come sulle pagine e inserti culturali del Quotidiano Nazionale, il gruppo editoriale del quale fanno parte anche i quotidiani il Resto del Carlino di Bologna e Il Giorno di Milano. La mostra La Nazione di Puccini, promossa dal Comitato Nazionale Celebrazioni Pucciniane presieduto dal Maestro Alberto Veronesi, organismo composto de esperti e personalità di riconosciuta competenza, rappresenta doveroso e dovuto omaggio nell’anno centenario della dipartita del Nostro. Un contributo alla ricostruzione della sua “ricezione”, e non solo.

L’esposizione, così, suggella la simbiosi tra La Nazione e i suoi lettori con Giacomo Puccini e il suo pubblico senza confini. La Nazione e Puccini: completezza della notizia da una parte, armonia della melodia dall’altra. Armonia e completezza, tessuto connettivo della secolare “misura toscana”, dell’inconfondibile senso delle proporzioni, tangibile tanto nell’arte quanto nella realtà, che si addice alla statura di questi due protagonisti, di questi due eccellenti Tuscan.