Non è una regina viarum, ma ancora oggi si mostra con maestosità e con caparbietà si arrampica sulla montagna, salendo fino al passo Tambura per poi scendere in Garfagnana, da lì oltrepassare l’Appennino e continuare fino a Modena. La via Vandelli, strada ducale del ‘700, fa parte del paesaggio montano massese, e ancora oggi impressiona per la sua costruzione, per l’arditezza dei suoi muri a secco, per i suoi selciati e ricciati. Tutto inizia nel 1741 con il matrimonio di Ercole Rinaldo d’Este, erede dello stato modenese, con Maria Teresa Cybo Malaspina, duchessa di Massa e Carrara che sancisce l’unione dei due stati, o meglio con il ducato di Massa-Carrara che diventa satellite del più importante ducato di Modena di Francesco III, padre di Rinaldo. Nasce così l’esigenza di unire i due stati, ma soprattutto di facilitare uno sbocco al mare per la capitale modenese, così da incentivare i commerci evitando di chiedere autorizzazioni e pagare transiti agli stati confinanti, ma anche per spostare velocemente truppe in caso di necessità.
Per il tratto massese i progetti sono due: uno prevede che dalla valle del Turrite, in Garfagnana, la strada passi per Isola Santa, il monte Omomorto e quindi giù nel canale di Antona verso Altagnana e Pariana. L’altro prevede che da Castelnuovo si passi dal monte Sella, Arni, Omomorto, Altagnana, Pariana. E due sono i progettisti: l’abate modenese Domenico Vandelli (ingegnere, geografo e matematico di corte) e l’ingegnere massese Francesco Maria Colombini. Spesso in disaccordo tra loro sul tracciato da seguire, alla fine la spunta Vandelli. Con una larghezza iniziale di poco più di due metri (utile per il passaggio di muli, merci e persone) per volere del duca è ampliata a circa 9 metri nei rettilinei e a quasi 20 metri nelle curve per permettere il passaggio di carri e carrozze. La lunghezza complessiva è di 150 chilometri.
I lavori iniziano nel 1738, sono sospesi dal 1742 al 1748 (in seguito all’allontanamento del duca a causa della guerra di successione austriaca), e si concludono nel 1751 nonostante i tanti vincoli imposti al progettista: costi contenuti, tempi brevi di costruzione, poca manutenzione, lunga durata, pendenze non eccessive. Inoltre il tracciato non doveva mai attraversare centri abitati, e neppure lo stato Pontificio, la Repubblica di Lucca e il Granducato di Toscana. Lungo la strada sono previste stazioni di manutenzione e stazioni di sosta per il cambio e l’abbeveraggio dei cavalli, ostelli, piazzole per lo scarico e il carico delle merci, guardiole per i soldati addetti al presidio e al pagamento dei pedaggi.
La strada presenta numerose diramazioni per i collegamenti con località più piccole, fabbriche, cave di pietra e di marmo, miniere di ferro e nel 1753 entra in funzione il servizio postale. Presto però ci si rende conto che in inverno il tratto Resceto-Vagli di Sotto (quello che supera la Tambura) è poco praticabile a causa delle proibitive condizioni meteo con molte nevicate (la quota raggiunta è di oltre i 1600 metri) e per la friabilità del terreno che richiede una continua manutenzione e conservazione. Per il suo tempo la strada rappresenta una notevole sfida tecnica che porta molte innovazioni a cominciare dai nuovi metodi cartografici con riferimenti altimetrici ad uso matematico. Vandelli introduce le linee di livello di quota costante che permettono mappe più precise e realistiche. Resta attiva fino all’arrivo delle truppe francesi a fine ‘700, riprende la sua funzione con la Restaurazione del 1815, ma la riduzione dei presidi militari porta all’aumento del brigantaggio. Con l’Unità d’Italia perde di importanza per la costruzione della strada che, valicando il passo del Cerreto e passando per Fosdinovo, rende le comunicazioni più agevoli. Oggi è un percorso per escursionisti, testimone di un passato quando muoversi e viaggiare non era così facile.
Maurizio Munda