Da rivoluzionario a moderato, dall’esercito al parlamento, dagli allori alle critiche. E’ la storia di Domenico Cucchiari, militare risorgimentale ricordato come l’eroe della battaglia di San Martino, ma finito anche sul banco degli imputati per quella battaglia e per la disfatta di Custoza. Cucchiari nasce a Carrara nell’anno 1806, per parte di madre è nipote del giurista Pellegrino Rossi. Si laurea in legge all’università di Pisa, quindi si reca a Modena per fare pratica forense. Cresciuto in una famiglia dove si parla di Francesi e di Restaurazione, di libertà e indipendenza, è attratto dai moti rivoluzionari in Francia del 1830.
A Modena entra in contatto con i cospiratori di Ciro Menotti e rientra a Carrara con lo scopo di provocare una sollevazione popolare ma, fallita questa, fugge in Francia per poi andare a combattere in Portogallo dal 1832 al 1835 e quindi in Spagna fino al 1840, volontario in fanteria leggera, dove arriva al grado di colonnello. Tra il 1842 e il 1848 abbandona l’esercito per darsi al commercio fino a quando è chiamato da Giuseppe Mazzini che stava arruolando ufficiali per il governo provvisorio lombardo. Partecipa alle battaglie del Risorgimento: nel 1849 è a Novara (comandante di reggimento di fanteria), nel 1859 a San Martino (al comando della quinta divisione), nel 1866 a Custoza (al comando del secondo corpo di armata). Prima accusato di errori nelle battaglie di San Martino e di Custoza per un atteggiamento rinunciatario sul campo, è messo a disposizione nel 1866 e a riposo nel 1869, mentre successivamente verrà considerato l’eroe di San Martino. Un paio di decenni dopo (era il 1888) pubblica un opuscolo dal titolo “Le cause delle nostre disfatte”, fatto stampare anonimamente, per denunciare le verità su tutti gli errori commessi a Custoza e ne conta ben 18 puntando il dito sui vertici militari.
"Noi sappiamo combattere e farci ammazzare coraggiosamente, ma non sappiamo fare la guerra. Dal 1848 abbiamo costantemente commesso i più gravi e funesti errori, ricadendo poi quasi sempre nei medesimi, senza mai correggerci - scriveva Cucchiari amareggiato – e questo dipende dall’essere la suprema direzione sempre in mano di persone senza esperienza e senza capacità". In quell’anno Cucchiari aveva maturato anche più esperienze parlamentari. Era entrato alla Camera nel 1860, eletto al primo turno nella VII legislatura (la prima con i rappresentanti dei territori da poco annessi) ottenendo 187 voti su 193 votanti (302 gli aventi diritto). E’ nuovamente eletto nel 1861 per la ottava legislatura (la prima dopo l’Unità) nel collegio di Massa-Carrara che, oltre alle due città di costa, comprende anche Fosdinovo e Fivizzano. Cucchiari si impone sia nel primo turno (460 voti contro i 338 dell’avversario lunigianese Paolo Fantoni) sia nel ballottaggio (559 voti contro i 482 di Fantoni).
Vita parlamentare vissuta con distacco: presenza assidua ma nessun intervento in aula. E’ invece presente nelle votazioni: nel 1861 è a favore di una soluzione pacifica per Roma e Venezia (mentre Garibaldi spingeva per l’azione militare); nel 1864 è contro la reintroduzione della odiata tassa sul macinato; nel 1865 è contro l’abolizione della pena di morte ed è contro l’istituzione di una commissione di inchiesta per i fatti di Torino del 1864 seguiti alla scelta di spostare la capitale a Firenze. E’ in minoranza nella votazione sulla pena di morte, in maggioranza in tutte le altre. Nel 1865 è elevato al rango di senatore (all’epoca la carica non era elettiva) ma il suo atteggiamento non cambia neppure quando in aula sono discusse iniziative che riguardano gli ambienti militari.
Cucchiari si spende invece molto per la realizzazione della diramazione ferroviaria Avenza-Carrara (inaugurata nel 1866), dopo che il Ministero aveva stabilito che la linea ferrata in costruzione sarebbe passata lontano dalla città. Muore a Livorno nel 1900, celebrato in Senato come “il Nestore dell’aula, il più vecchio soldato dell’esercito nazionale”.
Maurizio Munda