di Gabriele Masiero
PISA
"La competitività tra le imprese oggi si gioca soprattutto sul terreno della sostenibilità ambientale". Parola di Fabio Iraldo, professore ordinario di management della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Ma in una comunicazione commerciale, soprattutto legata ai prodotti alimentari (ma non solo) sempre più incentrata su messaggi improntati al rispetto dell’ambiente e alle scelte green, come fa il consumatore a orientarsi e a fidarsi che quei messaggi siano veritieri? "I consumatori – osserva Iraldo – indicano che la convinzione che le imprese propongano messaggi falsi nelle proprie pubblicità, sia la prima ragione per non scegliere i prodotti green sul mercato. Tuttavia molti studi evidenziano anche che il consumatore è però sempre più propenso a considerare, nelle proprie scelte d’acquisto, l’impatto ambientale dei prodotti. Secondo uno studio della Sant’Anna del 2020, il 55% cerca informazioni ambientali sui prodotti alimentari nella fase di acquisto e il 49% sui prodotti non alimentari. La stessa indagine, però, rivela il 26% dei consumatori tende a diffidare delle informazioni ambientali autodichiarate e il 10% non si fida per niente. Non solo un’indagine più recente della Sant’Anna indica che l’85% delle asserzioni pubblicitarie soffra di qualche tipo di limitazione o carenza in termini di chiarezza, di precisione o di affidabilità dei contenuti della comunicazione, esponendole al concreto rischio di greenwashing".
Per questo, secondo Iraldo "il green marketing efficace si raggiunge attraverso una comunicazione adeguata ai temi ambientali, ai vantaggi che il prodotto può garantire e alla capacità di comprenderli da parte del consumatore e assumono un ruolo cruciale l’uso di indicatori ambientali che possono misurare i vantaggi ottenibili grazie all’acquisto di un prodotto e la certificazione, che offre garanzie circa il beneficio del prodotto rispetto ai concorrenti".
Un caso particolarmente interessante è quello del distretto conciario toscano, dove la Scuola Sant’Anna ha condotto uno studio insieme all’Associazione Conciatori e al Consorzio Conciatori, spiega Iraldo, "che ha quantificato e comunicato in modo trasparente i vantaggi ambientali derivanti dalle iniziative e dalle infrastrutture di simbiosi industriale presenti nel distretto (dal recupero del cromo, alla chiusura dei cicli idrici grazie ai depuratori collettivi)".
L’Europa ha promosso questo approccio votato alla trasparenza e la recentissima proposta di Direttiva sui "Green Claims", osserva il docente, "stabilisce requisiti che, se dovessero essere approvati dal Parlamento Europeo, darebbero solide garanzie: vi sarebbe infatti l’obbligo per le imprese di effettuare una valutazione approfondita delle evidenze scientifiche che possano essere portate a dimostrazione della validità dei claim e l’obbligo di sottoporlo a una verifica e certificazione di un revisore indipendente per asseverare che quanto dichiarato sia corretto e rispondente al vero".
In Italia, conclude Iraldo, "c’è lo schema Made Green in Italy ovvero un programma nazionale volontario per la valutazione e comunicazione dell’impronta ambientale: un marchio che promuove un concetto di ‘eccellenza italiana’ unendo le due dimensioni della qualità delle produzioni made in Italy e quella dell’attenzione all’ambiente e alla sostenibilità e costituisce una notevole opportunità competitiva per le aziende che lo adottano sui loro prodotti e la Scuola Superiore Sant’Anna svolge il ruolo di supporto tecnico alla segreteria del ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica che è l’ente competente per il rilascio di questo marchio".
Non è un caso che uno dei primi comparti in cui è stato approvato il Made Green in Italy sia stato proprio il tessile pratese, forte dell’eccellenza ambientale derivante dal suo primato assoluto nel riciclo delle fibre di lana cardata.