Storia della sanità cittadina. Quando esistevano 5 ospedali. Legati a un utilizzo ’insolito’: punti di ristoro per i viandanti

Prima di quello dei Santi Giacomo e Cristoforo esistevano altri centri di accoglienza. Durante le guerre sono luoghi di cura per i militari. Si sostengono con il gioco del lotto.

Storia della sanità cittadina. Quando esistevano 5 ospedali. Legati a un utilizzo ’insolito’: punti di ristoro per i viandanti

Prima di quello dei Santi Giacomo e Cristoforo esistevano altri centri di accoglienza. Durante le guerre sono luoghi di cura per i militari. Si sostengono con il gioco del lotto.

Forse erano cinque, ma solo intorno a due di essi ci sono prove certe della loro esistenza, mentre per gli altri tre ci sono solo vaghi accenni. Sono gli ospedali massesi, in tempi in cui la cura dei malati era solo accidentale e il compito principale era ospitare i viandanti e sfamare gli indigenti. Edificio per accoglienza e ricovero di viandanti fin dal III secolo d.C. a Taberna Frigida, l’ospedale di San Leonardo esiste già nel 1398 e nello stesso anno c’è già anche quello dei SS. Giacomo e Cristoforo a Borgo del Ponte. Di altri tre (Santa Maria Maddalena a Ricortola, santa Maria a Mirteto e san Cristoforo a Montignoso) non ci sono certezze. L’ospedale di Borgo del Ponte è dedicato a san Jacopo e san Christofano, è gestito dai cavalieri di Altopascio e la sua costruzione viene fatta risalire alla fine dell’XI secolo con quattro letti che diventano 6 nel 1584, mentre è nel 1669 che viene fatto il primo censimento dei beni e delle entrate. Nel 1702 l’ospedale consiste di un orto, due stalle e un magazzino al piano terra, oltre ad una stanza al primo piano.

Tre i richiami documentati (nel 1749, nel 1753 e ancora nel 1863) ad una maggiore parsimonia nel somministrare i farmaci. I medici sono quattro, oltre a personale di assistenza. Nel 1807 l’ospedale si trasferisce nell’ex monastero dei Servi di Camporimaldo mentre Borgo del Ponte resta aperto per l’asilo di accattoni, vagabondi e senza tetto. Nel 1820 l’ospedale si trasferisce nell’ex convento degli agostiniani alla Madonna del Monte da dove l’ordine religioso era stato sfrattato nel 1770. Progettato dagli ingegneri Carlo Marcheselli e Del Nero, soprintendente e direttore Lazzaro Compagni, il nuovo ospedale ha un giardino coltivato ad agrumi, una farmacia al piano terra; mentre al primo piano ci sono due reparti: quello maschile con 22 letti e quello femminile con 12, oltre alla cappella, alla saletta oftalmica con 8 letti, a medicheria, cucina, scuola ostetricia, stanza mortuaria.

Al secondo piano c’è un camerone in caso di epidemie con 22 letti, oltre a quattro camere per dementi. Ci lavorano un medico, un chirurgo, un aiuto, due serventi, un farmacista, un cappellano. Negli anni ’40 dell’800 il personale è di otto unità: un segretario, un chirurgo, un medico, un primo infermiere, quattro serventi (due uomini e due donne). Il numero giornaliero dei degenti è tra i 15 e i 17, con alcune punte massime di 20. Nel 1849 gli inservienti salgono da 4 a 8, ma a causa delle guerre ai degenti si aggiungono 109 militari e i degenti passano a 124 tra civili e militari. Nei cameroni sono raddoppiati i posti letti ricorrendo anche alle pagliate. Tra le entrate dell’ospedale ci sono il gioco del lotto e le sale da ballo (2 lire per trattenimenti diurni e 5 per danze notturne). Dal 1864 i nati illegittimi (all’epoca chiamati anche spuri o gettatelli) non vanno più a Lucca ma restano in città per gli affidi. Con il colera del 1854 arrivano le suore della Carità che ed è alla loro Congregazione che dal 1862 è affidata la gestione economica. E’ del 1873 la prima inchiesta sull’ospedale, condotta dalla prefettura per presunte entrate di vini, liquori e commestibili tra i degenti; ma anche per pidocchi, biancheria indegna, alimentazione insufficiente. Nessun riscontro è trovato e l’inchiesta si conclude con l’accertamento di lievi negligenze. Nel 1937 la Congregazione di Carità è sciolta, nel 1945 l’ospedale rinasce dai locali semi devastati dalla guerra e con numeri sempre maggiori, per poi passare il testimone al Noa.

Maurizio Munda