"C’è ancora tanto da fare e non sarei molto ottimista: le disuguaglianze stanno da tempo aumentando anche nelle democrazie europee e affliggono in modo particolare le donne".
La professoressa Anna Loretoni è preside della Classe di Scienze Sociali e docente di Filosofia
Politica presso la Scuola Sant’Anna di Pisa. Lei è una delle donne al vertice, ma non è felice della sua “solitudine“.
Professoressa Loretoni, non si sono fatti passi avanti verso la parità e la conquista dei diritti?
"Insomma. Le disuguaglianze sono ancora tante. La stessa pandemia e la crisi economica
fanno pagare alle donne il prezzo più alto. Rispetto alla violenza di genere poi i dati non sono
certo in calo e non rappresentano una significativa diminuzione del fenomeno".
Anche nello scenario globale?
"Il numero dei Paesi illiberali e autoritari, di destra estrema, è sempre maggiore e le democrazie liberali sono oggi una minoranza. Questi paesi costruiscono le loro politiche anche sui corpi delle donne, sia limitando la libertà nella sfera riproduttiva, sia negando i diritti civili. Insomma, mi sembra che siano in atto fenomeni regressivi che dobbiamo controllare con attenzione, e contrastare con grande forza politica".
Da noi non va un po’ meglio?
"Beh, persino in Toscana le donne, soprattutto a bassa scolarizzazione, al secondo figlio tendono a uscire dal mercato del lavoro e lo slogan della nostra Presidente del Consiglio, “Dio, Patria, famiglia“, ripropone una concezione della famiglia tradizionale, con una donna che è prima madre e poi lavoratrice. Anche in questo vedo segni di regressione".
Che importanza hanno le parole nell’emancipazione?
"Le parole possono essere veicolo di sessismo, strumento di misoginia, stigmatizzazione e pregiudizio. Un linguaggio dell’odio che sui social media trova più facile diffusione, e che va contrastato. Poi c’è il tema del linguaggio inclusivo, quello legato all’amministrazione e alle professioni. Su questo versante possiamo riscontrare una maggiore attenzione da parte delle istituzioni, da quelle politiche a quelle universitarie. E’ un tassello importante, anche perché nei confronti delle giovani donne un linguaggio maschile può risultare escludente".
Perché le donne continuano a guadagnare meno degli uomini?
"Intanto le carriere femminili sono in genere più difficili e più lente. E anche a parità di professione, influisce il tipo di ruolo che si ha all’interno della struttura lavorativa. C’è poi la questione del part time, che non sempre è una scelta libera, adottata perché consente di svolgere meglio il lavoro di cura. Oggi non solo verso i bambini ma anche verso gli anziani. Sappiamo che la cura non è distribuita equamente fra uomini e donne. I dati Istat ci dicono che il 70% del carico è ancora sulle spalle delle donne. Tutto ciò rallenta la carriera e diminuisce la possibilità di fare straordinari, col risultato che il reddito è più basso".