Era l’11 luglio 1963. Anni ruggenti, soprattutto per il nostro Paese. L’economia correva, si costruiva e si produceva. La macchina simboleggiava libertà. In Inghilterra, come in Italia, c’era la corsa a produrre nuovi modelli. L’inglese Daimler Motor Company (da non confondere con il colosso tedesco Daimler-Benz) era la più antica fabbrica britannica. Nel 1960 venne acquisita dalla Jaguar, che la assorbì mantenendo il logo Daimler come Marchio delle versioni più prestigiose della Casa del Giaguaro. Una delle prime iniziative fu di lanciare nel 1962 una limousine su carrozzeria Jaguar con finiture più lussuose, linee più morbide soprattutto nel frontale e con un motore innovativo, più complesso. Al posto dei motori della Casa madre, di grossa cilindrata e con sei cilindri in linea, installò un motore di appena - si fa per dire – 2.500 cc a otto cilindri a V, molto più compresso ma con una elasticità quasi incredibile per quegli anni. Molte avevano un cambio automatico a soli tre rapporti più retromarcia e, fortunatamente, vista la mole (oltre 16 quintali) con freni servoassistiti. In presa diretta si passava da 1.000 a 6.000 giri con una dolcezza unica. Non c’era il servosterzo e comportava uno sforzo notevole con auto ferma, per il grosso peso sull’asse anteriore. «O c’erano muscoli buoni o si aveva l’autista», spiega il collezionista Giuseppe Orsi che ci ha raccontato la sua incredibile e duplice storia d’amore. Ma torniamo alla data d’inizio, a quell’11 luglio. Un autista della Kango Electric Hammers Ltd di Wimbledon ritirò la nostra Daimler 250 V8 Saloon che due giorni prima l’azienda aveva acquistato a Wimbledon e che era uscita di fabbrica il precedente 7 giugno. Tutto come risulta dal certificato rilasciato a Londra dalla Jaguar Daimler Heritage Trust che Orsi ci mostra. La vettura venne importata in Italia nel 1991. Si presenta oggi nello stato del tutto originale, nel pellame delle poltrone e divani interni conservati con cura anche se con qualche segno del tempo. La rarità di questa automobile è soprattutto nello stato di conservazione dei sedili e delle radiche interne, bellissime alla vista e al tatto. Ci dice il proprietario Orsi, membro del direttivo del Kursaal Car Club di Montecatini, sorridendo compiaciuto: «La cura del pellame interno mi costa più che il mantenimento del viso di una signora di eguale età. Le radiche? Olio paglierino una volta al mese e restano nuovi». E quando c’è un guasto meccanico? «Si trova tutto qui o sul mercato inglese. Qualche anno fa si ruppe il cambio automatico; per essere certo l’officina lo smontò, spedì a Londra all’impresa che lo aveva fabbricato, tuttora attiva, fu revisionato completamente, tornato e rimontato: lavoro perfetto». Ma dietro quest’auto c’è pure un’altra storia, decisamente più romantica. Esattamente quel giorno Giuseppe entrò in una sala da ballo della Valdinievole e incontrò la sua compagna di una vita, Miriam. Nacque una coppia solida come l’auto. Che oggi, con figli e nipoti e dopo 61 anni, è fiera di questa vettura, trovata per caso nel 2005 in un garage fiorentino. Non fu facile ottenere l’auto: il precedente proprietario non era intenzionato a venderla. Quando i due si accorsero dai documenti della coincidenza della data, fecero di tutto per comprarla. «Una corta spietata: più impegnativa di quella a mia moglie», ammette Orsi, che alla fine riuscì nel suo intento per poi affiancarla a un’altra icona degli anni ‘60, l’Alfa Romeo Giulia 1600 Spyder. Da lì raduni, gare, mostre, «ma soprattutto amici con i quali condividere la stessa passione e tante belle giornate insieme».Era l’11 luglio 1963. Anni ruggenti, soprattutto per il nostro Paese. L’economia correva, si costruiva e si produceva. La macchina simboleggiava libertà. In Inghilterra, come in Italia, c’era la corsa a produrre nuovi modelli. L’inglese Daimler Motor Company (da non confondere con il colosso tedesco Daimler-Benz) era la più antica fabbrica britannica. Nel 1960 venne acquisita dalla Jaguar, che la assorbì mantenendo il logo Daimler come Marchio delle versioni più prestigiose della Casa del Giaguaro. Una delle prime iniziative fu di lanciare nel 1962 una limousine su carrozzeria Jaguar con finiture più lussuose, linee più morbide soprattutto nel frontale e con un motore innovativo, più complesso. Al posto dei motori della Casa madre, di grossa cilindrata e con sei cilindri in linea, installò un motore di appena - si fa per dire – 2.500 cc a otto cilindri a V, molto più compresso ma con una elasticità quasi incredibile per quegli anni. Molte avevano un cambio automatico a soli tre rapporti più retromarcia e, fortunatamente, vista la mole (oltre 16 quintali) con freni servoassistiti. In presa diretta si passava da 1.000 a 6.000 giri con una dolcezza unica. Non c’era il servosterzo e comportava uno sforzo notevole con auto ferma, per il grosso peso sull’asse anteriore. «O c’erano muscoli buoni o si aveva l’autista», spiega il collezionista Giuseppe Orsi che ci ha raccontato la sua incredibile e duplice storia d’amore. Ma torniamo alla data d’inizio, a quell’11 luglio. Un autista della Kango Electric Hammers Ltd di Wimbledon ritirò la nostra Daimler 250 V8 Saloon che due giorni prima l’azienda aveva acquistato a Wimbledon e che era uscita di fabbrica il precedente 7 giugno. Tutto come risulta dal certificato rilasciato a Londra dalla Jaguar Daimler Heritage Trust che Orsi ci mostra. La vettura venne importata in Italia nel 1991. Si presenta oggi nello stato del tutto originale, nel pellame delle poltrone e divani interni conservati con cura anche se con qualche segno del tempo. La rarità di questa automobile è soprattutto nello stato di conservazione dei sedili e delle radiche interne, bellissime alla vista e al tatto. Ci dice il proprietario Orsi, membro del direttivo del Kursaal Car Club di Montecatini, sorridendo compiaciuto: «La cura del pellame interno mi costa più che il mantenimento del viso di una signora di eguale età. Le radiche? Olio paglierino una volta al mese e restano nuovi». E quando c’è un guasto meccanico? «Si trova tutto qui o sul mercato inglese. Qualche anno fa si ruppe il cambio automatico; per essere certo l’officina lo smontò, spedì a Londra all’impresa che lo aveva fabbricato, tuttora attiva, fu revisionato completamente, tornato e rimontato: lavoro perfetto». Ma dietro quest’auto c’è pure un’altra storia, decisamente più romantica. Esattamente quel giorno Giuseppe entrò in una sala da ballo della Valdinievole e incontrò la sua compagna di una vita, Miriam. Nacque una coppia solida come l’auto. Che oggi, con figli e nipoti e dopo 61 anni, è fiera di questa vettura, trovata per caso nel 2005 in un garage fiorentino. Non fu facile ottenere l’auto: il precedente proprietario non era intenzionato a venderla. Quando i due si accorsero dai documenti della coincidenza della data, fecero di tutto per comprarla. «Una corta spietata: più impegnativa di quella a mia moglie», ammette Orsi, che alla fine riuscì nel suo intento per poi affiancarla a un’altra icona degli anni ‘60, l’Alfa Romeo Giulia 1600 Spyder. Da lì raduni, gare, mostre, «ma soprattutto amici con i quali condividere la stessa passione e tante belle giornate insieme».
MotoriGiuseppe e Miriam, una lunga storia d'amore celebrata attraverso una Daimler rarissima