"Tzigano", una vita tra i rally: «La mia carriera sulla scia dei grandi piloti locali"

Marco Ranalli è un mito pistoiese per quanto riguarda il mondo delle corse: «Cominciai nel 1984, quelle erano auto vere, da guidare con cattiveria»

"Tzigano" al volante della R21 Turbo

"Tzigano" al volante della R21 Turbo

Pistoia, terra di grandi piloti come Mauro Nesti e Fabio Danti. E di tanti altri che hanno contribuito a rafforzare la tradizione motoristica della città. Come Marco Sabatino Ranalli, classe 1961. Per tutti, “Tzigano”. Un vero e proprio giramondo, sì, ma dei rally. «In città sono conosciuto più col nome da pilota che col mio vero nome», confessa subito Ranalli. Pardon, Tzigano. «Trenta, quarant’anni fa gli pseudonimi venivano usati anche per evitare pubblicità in famiglia. Mia madre è sempre stata apprensiva. Ha sempre contestato a mio padre il fatto che mi avesse insegnato a guidare a 12 anni: a quell’età portavo la 500 con la doppietta. E quindi scelsi quel soprannome per rappresentare una persona che ancora non aveva fermezza sul dove vivere definitivamente. E l’ho usato fino alla fine della mia carriera, circa vent’anni fa». Tzigano, a Pistoia sei una sorta di mito dei rally... «Sono più conosciuto dalle generazioni che hanno corso da metà anni Ottanta ai Duemila. Dove ho avuto la “sfortuna” di correre con avversari che andavano veramente forte. Ho corso con il povero Danti, con Bizzarri che ha disputato per anni il Campionato Italiano… In quegli anni la provincia di Pistoia ha sfornato piloti importanti, soprattutto dalla montagna, seguendo la tradizione di Mauro Nesti, nato a Bardalone, che ha corso per trent’anni vincendo tantissimi titoli in Italia e in Europa». La tua carriera è segnata da alcune auto leggendarie… «Io ho cominciato nel 1984 al Rally degli Abeti con una Alfasud Sprint Gruppo A. L’anno dopo salii al volante dell’Opel Corsa, poi ebbi anche un’esperienza sulle Gruppo B prima che nel 1986 la Federazione internazionali li bandisse per i numerosi incidenti mortali nel Mondiale. Diciamoci la verità, le Gr. B non erano che delle strutture di plastica leggera intorno a un roll-bar ma con 400-500 cavalli. “Mostri” viaggianti… E io feci due gare in Italia con la Talbot-Lotus, macchina particolare, una 2.2 con tanti cavalli, difficilissima da guidare, e con una Alfetta GTV 2.5 con motore 6 cilindri. Bella musica...». La macchina a cui sei rimasto più legato in tutta la carriera. «La R5 GT Turbo. L’ho guidata 7-8 anni. Era un’auto che permetteva di essere competitivi spendendo poco. Macchina particolare: Renault sapeva di aver lanciato un modello già “vecchio”, con motore ad aste a bilancieri. Però, sai, un 1.4 con una bella turbina, 120 cv, 850 kg, molto compatta. Certo, era pericolosa: ho visto “picchiare delle botte” non indifferenti (ride, ndi)… Però molti hanno cominciato proprio con quella macchina lì, tra cui Fabio Danti, perché la portavi a 150-160 cv con mille lire. Bastava fare il giusto lavoro sulla pressione della turbina e la macchina volava». Secondo me era anche bella… «Confermo. E poi dalla R5 passai alla Renault 21 Turbo. Renault Sport iniziò il programma ufficiale in Francia e l’abbandonò dopo due anni perché la macchina non era competitiva. Era ritenuta ingombrante, ma io mi ci sentivo molto sicuro. Per me era una fortezza: un muso grosso davanti, il baule dietro, era larga, ci stavi bene. Sulla R5 ti muovevi a malapena...» La R21 Turbo è molto apprezzata in Francia, è presente anche in qualche film d’azione… «Era una bella macchina, molto robusta di telaio. In Italia veniva curata da un preparatore che aveva già lavorato con le R5, le Clio, e anche dopo un anno abbandonarono il programma. Però, tramite ricostruzione delle targhe, ho scoperto che sulla mia macchina avevano corso, credo anche nel Mondiale, gente del calibro di Philippe Bugalski e Jean Ragnotti». Bugalski ci ha corso nel 1988 e ’89, con la R21, ma non ha mai fatto neanche un punto… «Era una macchina inguidabile. Quando la portammo nel mio garage, quest’ultimo si era riempito dei suoi ricambi: una marea. La provai in città, dato che mi ero iscritto al Rally degli Abeti. Dopo due curve, tornai indietro e dissi: tiratemi giù questo cambio e mettetemi quello stradale, perché non ce la faccio a girarla con le braccia, questa macchina. Aveva l’autobloccante al 100%, non girava veloce neanche le curve… Meno male che io gareggiavo solo per divertirmi. Purtroppo i piloti a volte spengono il cervello, soprattutto in quegli anni, che c’era molta battaglia… Venivano da tutta Italia in Toscana, e venivano tutti volentieri, probabilmente perché le gare erano organizzate bene». I piloti da rally li ho sempre visti come una categoria a parte, per il coraggio che avevano a guidare quel tipo di macchine. «Una volta provai la Lancia Delta Integrale Gr. A, e sinceramente devo dire che oltre ad avere una certa sensibilità tecnica e motoristica, lì ci vuole anche un po’ di coraggio. Quelle erano macchine da guidare con cattiveria: le marce le dovevi buttar dentro con violenza. Quando mettevi la terza dovevi spingere, ma spingere forte altrimenti ti risputava la marcia indietro. Erano macchine vere. Quelle di oggi sono diverse, hanno molta elettronica, sono più facili da guidare. All’epoca mia per guidare quelle macchine dovevi essere pilota vero». Il tuo rapporto con il Rally Città di Pistoia. «Il Rally Città di Pistoia è sempre stato organizzato in maniera impeccabile. Se tu chiedi a un pilota che ha corso in Toscana qual è la gara in cui ti piacerebbe tornare a correre, ti risponderà: al “Pistoia”. Perché è una gara con bellissime prove, un bel paesaggio, tanto pubblico».