Rogari
Di tanto Firenze capitale fece del bene alla neonata Italia unita, nel 1865, di quanto scontentò i diretti interessati. Intendo, fra questi ultimi, i fiorentini e i torinesi. Per i primi fu, per dirla con le parole usate da Bettino Ricasoli, fu una “tazza di veleno”. Qualcosa che biso- gnava mandar giù, ma che risultava indigesto per tanti motivi. I secondi, invece, subi- rono la perdita della capitale come l’onta frutto della trama di un governo fatto da emiliani, Minghetti, presidente del Con- siglio, e toscani, Peruzzi, mini- stro dell’Interno, che avrebbero tramato a danno dei torinesi.
Le cose non stavano esatta- mente così. L’unità d’Italia, con l’annessione delle province meridionali aveva fatto di Tori- no una capitale troppo eccen- trica negli equilibri territoriali e soggetta a rischi di attacco militare. Infatti, quando fu concepito il trasferimento della capitale, nel 1864, il Veneto era ancora in mano austriaca e nell’ipotesi, tutt’altro che remota, di una nuova guerra, l’esercito austriaco non avreb- be incontrato ostacoli naturali sulla direttrice di Torino. Insomma, era opportuno mettere la capitale del Regno in sicurezza.
Le due opzioni erano Firenze o Napoli. Ma la seconda fu scartata perché troppo decentrata verso sud; esposta ad attacchi dal mare e raggiungibile con difficoltà senza passare per lo Stato Pontificio. Così il governo Minghetti fu saggio nell’optare per Firenze, anche se i fiorentini la presero male nella convinzione, fondata, che sarebbe stato solo un passaggio effimero sulla via di Roma.
Poi, c’era un motivo ancor più cogente che spingeva al trasferimento ed era la volontà di Napoleone III. L’imperatore dei francesi vedeva nel trasferimento della capitale a Firenze l’implicito rinvio sine die della rivendicazione di Roma capitale: esito avversato dal Pontefice e, di conseguenza, dall’opinione pubblica cattolica francese. Napoleone voleva tranquillizzare i cattolici del suo paese che con questo trasferimento a Firenze gli italiani avrebbero rinunciato a Roma capitale e lo Stato pontificio sarebbe ancora sopravvissuto a lungo.
Le cose non stavano proprio così, perché Minghetti non aveva fatto esplicita rinuncia, ma contava che ci credessero i francesi. Come accadde.