Riccardo NenciniFIRENZECosa c’è di più terribile di un desiderio che si avvera? L’inizio: il re fugge precipitosamente da Torino, scossa da tumulti perché i piemontesi alla capitale non intendono rinunciare. A Firenze viene accolto da un entusiasmo sbarazzino e da sguardi increduli. La fine: una montagna di debiti che sarà complicato ripianare.
Veniamo al dunque. Firenze era da tempo una delle capitali culturali d’Europa, il cuore del Grand Tour. L’educazione sentimentale degli artisti americani e di mezzo continente si completa sull’Arno prima di approdare a Roma. La lista è lunga, tra i primissimi Montaigne, al tramonto del ‘500, all’alba del ‘900 ne ricordo solo uno, uno soltanto: Le Corbusier. In mezzo l’universo mondo.
L’arrivo della corte sabauda fu il canto del gallo della burocrazia più che un esplosione di nuovi monumenti. Insomma, una primavera con frequenti temporali. L’assetto urbanistico venne ampiamente rivisitato seguendo tre criteri: costruzione dei viali, riqualificazione dell’area delle Cascine, destinata a emulare le Bois de Boulogne parigino, e abbattimento del ghetto e di pezzi pregiati di quartieri medievali entro il decumano romano, compresa la tettoia dei Pisani in Piazza Signoria; i salotti cittadini spalancarono le porte alla nobiltà italica e alle ambascerie, fiorirono gli spettacoli negli undici teatri vanto di Firenze, a La Nazione – il foglio per eccellenza – si aggiunsero La Gazzetta d’Italia, l’Opinione, Il Diritto del Depretis ‘trasformista’, la cattolica Armonia, mentre usciva la Nuova Antologia (1866) del Gabinetto Vieusseux. Sbarcherà a Firenze anche L’Italia Militare, direttore Edmondo De Amicis, si, proprio lui, l’autore di ‘Cuore’. Pare si sia invaghito, frequentando il ‘salotto rosso’ di Borgo de’ Greci, di donna Emilia Peruzzi, moglie del sindaco e animatrice culturale prestigiosa.
Il 14 maggio 1865 fa ritorno in città il fantasma senza pace di Dante. La statua del poeta viene installata in piazza Santa Croce alla presenza del re e di centinaia di persone. Dante diventa il simbolo dell’unità d’Italia, l’emblema della patria nascente che si prepara alla terza guerra d’indipendenza (1866).
Prende vita il museo di San Marco ma il futuro si insinua tra le mura soprattutto con la fondazione della Biblioteca Nazionale, con Roma il centro librario più importante d’Italia, e con il ritorno dell’università, trasferita a Pisa da Lorenzo il Magnifico con un atto di cieca magnanimità. Medicina, lettere, fisica e filosofia tanto per cominciare, mesi dopo giurisprudenza.
Nel frattempo Dostoyevsky, in fuga dalla Russia per debiti di gioco, conclude la scrittura de ‘L’Idiota’ nella camera dell’hotel Suisse. "La bellezza salverà il mondo", la frase ancor oggi citata ovunque, viene impressa proprio a Firenze. Della città scrive: ‘E’ bella ma veramente troppo umida. Le rose, tuttavia, fioriscono ancora nel giardino di Boboli”. Chissà se abbia mai incontrato il sovrano, alloggiato nella reggia di Pitti.
Tre anni più tardi, nei giorni della presa di Porta Pia, a Firenze giunge Louisa May Alcott, autrice di ‘Piccole donne’. Nel diario di viaggio annota: “Comprate pellicce”. Nient’altro.
La capitale era già in partenza verso Roma. Restava il tempo per un ultimo evento, questo si presagio di futuro. Tra Firenze e Pistoia si corre la prima gara ciclistica. Fu La Nazione a darne notizia magnificando le acrobazie da funamboli di un pugno di audaci. Vinse un americano, Van Heste, sul podio anche due francesi, nessun italiano tra i primi. Per ultimare i 33 chilometri del percorso lo statunitense impiego’ più di due ore. Il commento dei fiorentini non si fece aspettare: ‘Ma a piedi…’.
*Presidente Gabinetto Scientifico Letterario G.P. Vieusseux, Firenze