Ceccuti
La Toscana fu decisiva nella realizzazione dell’unità d’Italia con il voto di annessione al Regno di Vittorio Emanuele; Firenze fu determinante nell’avviare il processo di unificazione del Paese, accogliendo con una sorta di rassegnazione la Capitale sulle rive dell’Arno. Le conseguenze negative erano evidenti: la città di 118.000 abitanti avrebbe in breve accolto 30.000 “ministeriali” con le famiglie, con inevitabile rincaro dei generi alimentari e degli affitti.
Il piano urbanistico – affidato dal Comune a Giuseppe Poggi – avrebbe stravolto il volto della città, con l’abbattimento delle antiche mura, l’edificazione di nuovi quartieri, il respiro dei viali culminati nel Piazzale Michelangelo. Nondimeno i fiorentini accolsero con benevola ironia i “buzzurri” piemontesi e svolsero egregiamente il compito cui erano chiamati. Innanzitutto arginare la “piemontesizzazione”, l’aspro dissidio fra Nord e Sud che aveva provocato all’indomani dell’unità la guerra del brigantaggio, protrattasi nel meridione per quasi quattro anni. La lingua, quella del “ben parlante fiorentino” invocata dal Manzoni, sarebbe divenuta patrimonio di tutti; la storia e la cultura stessa della città offrivano la base della comune appartenenza.
L’inaugurazione del monumento a Dante in Piazza Santa Croce, con i labari dei Comuni italiani provenienti da ogni regione, segnò nel 1865 la consapevolezza della identità nazionale. In quei sei anni, fra 1865 e 1871, si confrontano i diversi dialetti, tradizioni, culture e abitudini: l’Italia da Stato diviene Nazione. La liberazione di Venezia nel 1866 e di Roma nel 1870 conclusero del processo risorgimentale. Il sacrificio fu notevole. Capitale provvisoria sì, ma nessuna immaginava per così breve tempo. Le opere avviate furono portate a termine, i debiti si moltiplicarono, fino al fallimento dell’amministrazione comunale guidata da Ubaldino Peruzzi. In una delle ultime sedute a Palazzo Vecchio il Parlamento avrebbe proclamato Firenze "benemerita della nazione".