Francesco Gurrieri*FIRENZEQuando Giuseppe Poggi ebbe l’incarico per Firenze Capitale (novembre 1864), la città era governata dal “facente funzione di gonfaloniere, Giulio Carobbi” (secondato da una commissione ov’erano il Peruzzi e il Digny). Il mandato del “sindaco f.f.” dava precise indicazioni al Poggi, così riassumibili: "Il desiderato ingrandimento porti alla demolizione delle attuali mura urbane, e alla formazione di un pubblico grandioso passaggio secondante la traccia delle medesime e comprendente la larghezza della via Circondaria esterna ed interna e delle Ghiacciaie o di altri spazi intermedi".
Il Poggi, lavorando instancabilmente, presentò il Piano, nei primi mesi del ’65, alla Commissione straordinaria per l’ampliamento di Firenze, assumendo, "per l’interno del centro storico le previsioni urbanistiche dello studio dell’ufficio d’arte del comune – i nuovi quartieri del Maglio e della Mattonaia, alcuni allargamenti stradali e la ristrutturazione del Mercato Vecchio con il progetto di una grande galleria vetrata – e delinea le idee portanti dell’ampliamento: il disegno a grandi isolati geometrici delle zone esterne alle mura lungo tutto l’arco della riva destra dell’Arno; un Campo di Marte di fronte alle Cascine collegato con un ponte in asse al piazzale del Re; un nuovo quartiere sulla riva sinistra oltre la porta S. Frediano; la ristrutturazione del sistema ferroviario con la modifica della linea aretina, lo spostamento della stazione Maria Antonia e una nuova stazione di transito oltre il Mugnone fra le Cure e la Fortezza.
Sul tracciato delle mura un grande viale alberato di circonvallazione che sulla destra del fiume ripete il disegno delle fortificazioni e sulla riva sinistra, partendo dalla porta Romana, si ricongiunge alla porta S. Niccolò allacciando i diversi monumenti e ville storiche che sorgono sulle colline da traversarsi, affatto mancanti di un accesso sicuro e conveniente (S. Frasca)".
Quale città ereditava il Poggi? Se pur erano già delineati i “suburbia”, cioè le espansioni fuori dalle mura, in corrispondenza delle Porte , la città era ancora quella dell’urbs perfecta cantata da Leonardo Bruni nella sua Laudatio Florentinae Urbis, ove Arnolfo, Brunelleschi, Vasari, avevano costituito lo star-system di quella stagione; e dove la forza della Signoria aveva affermato la propria espansione realizzando le cosiddette “Terre Nuove” (San Giovanni Valdarno, Castelfranco di Sopra, Terranuova, Scarperia, Firenzuola), vere e proprie new–towns del tempo.
Una città, ove le mura si sviluppavano per 8,5 km. e avevano 73 torri di guardia a distanza regolare di 200 braccia (per consentire il tiro teso di balestra); una realtà urbana che, comprensiva degli ordini religiosi che aveva assorbito al XIV secolo aveva raggiunto 100mila abitanti (Londra ne aveva 50mila e Parigi 200mila). La stagione medicea e lorenese si sarebbe distinta per riassetti e ristrutturazioni funzionali, ma avrebbe avuto cura, soprattutto, dell’intero territorio granducale, rafforzandone i presidi militari, le altre città, la viabilità (curata particolarmente da Pietro Leopoldo di Lorena fra il 1765 e il ’90).
L’ingrandimento del Poggi accoglieva le tesi culturali e urbanistiche di Hausmann esercitate a Parigi, dei boulevard, delle grandi piazze, dei sistemi viari radiali, dei parchi, del decoro urbano. Nacquero così gli attuali viali di circonvallazione (lungo le mura abbattute), il panoramico Viale dei Colli (col Piazzale Michelangelo) che avrebbe dovuto continuare verso Bellosguardo e Monteuliveto per chiudersi in prossimità dell’Arno alle Cascine.
Già prima di Firenze capitale, si era posto il problema del “caro fitti” (1848): su circa 100mila abitanti lo Zuccagni Orlandini registrava 6.918 indigenti assoluti. Dal 1861 al ’70 la popolazione fiorentina aumenta di 79.433 unità; parallelamente, fra il 1865 e il ’70 vengono costruiti 51.380 “ambiente abitabili”: è la più grossa stagione speculativa che Firenze abbia conosciuto. Con la “disponibilità municipale”, i terreni di molte nobili famiglie fiorentine, e la formazione di alcune “Società Anonime Edificatrici”, si realizzeranno i quartieri di Barbano, del Maglio, Mattonaia e Montebello, nonché consistenti interventi in via La Farina, via dei della Robbia, via Angelico, via Ponte all’Asse e altrove. Nei gruppi imprenditoriali comparivano molte famiglie fiorentine in società anglo–italiane, quali l’ing. Breda, l’inglese Cresswell, Tatti, Favero, Young. Insomma, un intreccio di finanza, imprenditoria e proprietà dei suoli che non avrebbe più abbandonato il rinnovamento e la grande espansione urbana della città.
Con il trasferimento della capitale a Roma, Firenze vide diminuire bruscamente la sua popolazione da 194mila abitanti (1870) a 166mila (1873). Ovviamente, abbandonarono Firenze i funzionari di Stato, molti militari, impiegati. Ma la macchina speculativa, non poteva arrendersi ad una depressione che colpì ogni aspetto della città, lasciandola fra i debiti, gli inadempimenti contrattuali, e in una delusione non certo colmata dal solo fatto che non pochi personaggi importanti fossero migrati al Parlamento romano. Ad ammortizzare il venir meno delle grandi intraprese edilizie soccorse la grande operazione di trasformazione del “centro”, che avrebbe cancellato la vergogna del ghetto e d’altro ancora, portando Firenze alla dignità di città “borghese”: è lo sventramento che prenderà ufficialmente il nome di “Progetto di Riordinamento del Centro di Firenze” (esteso da via Cerretani all’Arno) e che sarà firmato dagli architetti Vincenzo Micheli e Giacomo Roster.
*Università degli Studidi Firenze