Novantatré anni, sette Premi Franco Abbiati della critica in carriera, la mente e l’energia di un ragazzo. Pierluigi Pizzi, nume del teatro non solo lirico, firma regia, scene e costumi della Madama Butterfly che debutta stasera. La nuova produzione del Festival Pucciniano andrà poi in scena al Petruzzelli di Bari a inizio 2024. Sarà tradizionale ma senza orpelli, legata allo spartito e al libretto ma con un’innovativa lettura del rapporto "moderno" tra Cio-Cio-San e Suzuki.
Maestro, ha vissuto due terzi della vita nel teatro, e ancora domina il palco. Ma come fa?
"Si fa prima a dire tutta la vita, dapprima come frequentatore dei teatri e poi votato a questo mestiere. Anche adesso passo la maggior parte del tempo nei teatri del mondo. Ho fatto 30 spettacoli alla Scala, non so quanti alla Fenice, 40 anni al Rossini Opera Festival".
E ha fatto la storia del teatro del Novecento.
"Ho vissuto quel momento fortunato con grandi occasioni e grandi personaggi. Ma non sono passatista, ho sempre guardato quello che avevo attorno e soprattutto davanti".
La Bohème di Gayral ha riacceso la disputa tra tradizionalisti e innovatori. Lei, che ha ambientato Tosca nel Fascismo, da che parte sta?
"C’è un grosso equivoco alla base. Nessuno è contrario a un percorso evolutivo dell’interpretazione dell’opera lirica. Non si può riproporre sempre la stessa immagine per quanto perfetta e convincente sia. Bisogna interrogare continuamente un’opera rapportandola al nostro tempo e al pubblico a cui è diretta, senza però disattendere il lavoro del compositore che non è riducibile a semplice colonna sonora. E c’è un testo che spesso merita tutta l’attenzione possibile. A questo bisogna attenersi, poi si possono cambiare tempi e luoghi purché in coerenza con quello che l’opera richiede. Bisogna creare situazioni che corrispondano a quello che l’opera rappresenta".
Sono d’accordo, ma ormai da 20 anni vediamo allestimenti senza babbo né mamma, che sono il libretto e la musica.
"Io per primo in varie occasioni ho cambiato epoca e introdotto situazioni nuove, All’inizio degli anni ’70 proposi di rappresentare i Vespri Siciliani di Verdi all’epoca di Verdi. Verdi avrebbe preferito raccontare una storia dei suoi tempi, con un messaggio più esplicito sui temi risorgimentali, ma c’era la censura austroungarica. Inoltre mi disturbava un balletto delle quattro stagioni di taglio ottocentesco in un’ambientazione medievale, lo trovavo improponibile. Ci furono discussioni e indicazioni per cambiare epoca e costumi, però la mia era una Sicilia più vicina a noi".
Bellissimo, però mi riferivo alle esagerazioni che cambiano le vicende stesse.
"Ora c’è la smania di portare tutto al giorno d’oggi e vediamo una quantità di spettacoli uno uguale all’altro. Io non ho esitato a mettere Rossini o Cimarosa in abiti contemporanei perché quelle vicende avrebbero potuto svolgersi nei nostri giorni. Però non mi verrebbe in mente di ambientare Nabucco su Marte. E’ un problema di chiarezza e corenza".
Quindi la sua Butterfly come sarà?
"In Butterfly lavoro per sottrazione, per arrivare al nocciolo della questione. A Torre del Lago metto in secondo piano il folklore giapponese che c’è soprattutto nella prima parte. Il matrimonio e il resto esistono, ma in primo piano ci sono i personaggi, soprattutto Cio-Cio-San, una delle più grandi eroine pucciniane. Ha forza e pureza che tendono al sublime. È difficile incontrare nel grande repertorio lirico una donna che abbia questa determinazione nel suo viaggio iniziatico, l’incontro con l’amore che è sublime dall’inizio alla fine, e senza mai dubbi. Anche quando vive in solitudine perché ha rotto con la famiglia e ha rinnegato la sua religione, ma resta votata al ruolo di madre. Qui metto in rilievo il personaggio di Suzuki, l’unica persona che raccoglie questo insegnamento della la dedizione: una forma d’amore, di una donna che vive nel riflesso del personaggio principale. E ho cercato di evidenziare un rapporto molto particolare tra loro, un dettaglio che mi era sfuggito quando per la prima volta misi in scena Butterfly. La solidarietà tra donne è un messaggio molto attuale. Anche il finale rivelerà questo rapporto straordinario, in un modo senza precedenti. Nel duetto dei fiori c’è un momento di grande felicità e gioia condivisa perché sembra che tutto vada nel verso giusto. Lo spettacolo è molto scarno, anche se ci sono momenti suggestivi come il coro a bocca chiusa, e immagini introdotte da me per i momenti più emozionanti".
Ma l’ambientazione è in Giappone?
"Certo, con gli abiti richiesti dal libretto, e la casa di carta. Puccini aveva una tendenza maniacale a descrivere ogni frase e ogni gesto. Si deve tenerne conto, ma è falso ridurre Puccini a musicista verista. Accanto allo scrupolo di raccontare minutamente ogni attimo della vicenda c’è il grande volo dei momenti drammatici di questa opera. Il compositore vola alto e non ha niente a che vedere col teatro verista, come lo definiamo in modo schematico. E’ superlativo anche in Tosca, e con la Liù della Turandot".
Pensa mai di godersi la pensione?
"Mamma mia, mi riposo solo quando sono a teatro e lavoro. In futuro ho molti progetti: vado a Parma per inaugurare il Festival Verdi a settembre coi Lombardi, e subito dopo a Piacenza con Fedora. Seguo la tournée dell’Incoronazione di Poppea del Festival Monterverdi a Como, Pavia, Pisa e Ravenna. Poi il Barbiere di Siviglia a Parma in gennaio, e poi comincio a lavorare alla Maria Egiziaca di Respighi. E ancora un po’ di prosa con Tennessee Williams".
b.n.