di Pippo Zeffirelli *
Col Maestro siamo ancora legati da un filo sottile e fortissimo che si chiama arte. Cosi riesco ad accettare la tirannia di un corpo che non c’è più, dopo sessant’anni di meravigliosa vita insieme. Franco è stato non solo maestro della mia formazione culturale, ma anche per la vita.
Ho provato a frenare le lacrime per la sua assenza, e per me, anche oggi, tutto funziona come se lui ci fosse, o perchè so che avrebbe voluto così. Ma è più difficile perchè sento la responsabilità della sua energia e della sua creatività uniche: e c’è questo dover in qualche modo combattere ogni giorno per mantenere la sua memoria, cosa che faccio mettendoci energia e impegno per la Fondazione, il suo ultimo sogno realizzato.
Sono stato fortunato, perchè ho potuto condividere il suo saper vedere oltre: era un Maestro ironico, da fiorentino ironico e dissacrante. Diceva che Firenze era una città bottegaia e ci si rispecchiava: aveva una grande passione per questa sua città pur criticandola e inveendo contro i fiorentini perchè erano difficili. Quando sbottava “città di beceri” ci si comprendeva con allegria, compiaciuto: “E’ nel carattere di noi fiorentini essere così”, diceva e rivendicava un certo senso di unicità.
Non esiste giorno in cui non pensi a lui, che lui non sia nella mia giornata. Anzi, lo vedo e ne avverto la presenza: non sono momenti isolati quelli in cui si fa vivo sotto forma di dolore e anche di allegria. Rivendicava con orgoglio le origini contadine della campagna toscana di Vinci, sosteneva che fossero luoghi che gli avevano forgiato il carattere complicato e complesso, capace di elargire affetto e non solo a noi di casa, ma anche verso gli amici e a chi glielo dimostrava. Vivendo con lui una vita, ho fatto mio anche il suo senso di accoglienza verso il prossimo, assorbito il senso di un sentimento profondo e vicino. Si divertiva a ripetere una frase: cercare di farsi amici i nemici, perchè gli amici ci sono già.
* Presidente della Fondazione
Franco Zeffirelli Onlus