FIRENZE
Con l’esaurirsi della spinta derivante dalla ripresa post-pandemica, la crescita media dei fatturati nel 2023 si riduce fortemente rispetto ai due anni precedenti, attestandosi al 7%.
È il quadro che emerge dallo studio condotto dal team dell’Università degli studi di Firenze, guidato dal professor Francesco Giunta, che ha appunto analizzato le aziende Top 500 della provincia di Firenze in modo da avere un dato sull’andamento economico che consentisse agli esperti di analizzare la progressione del lavoro nella provincia di Firenze.
"Il dato – si legge nell’analisi - appare allineato a quello nazionale, stando ai risultati dell’indagine Mediobanca che indicano una crescita nominale del 6,9% (Mediobanca, “Dati cumulativi di 1900 società italiane”, 2024). Da considerare, tuttavia, che buona parte di questa crescita è legata alla spinta inflazionistica, che per i beni al consumo è stata calcolata dall’Istat pari al 5,7%.
La capacità delle Top 500 di estrarre valore dalle vendite risulta pari al 9% nel 2023, sostanzialmente invariata rispetto al 2022, nonostante la considerevole flessione dei costi legati ai beni energetici registrata nel corso dell’anno.
Appare plausibile, pertanto, che le imprese abbiano dovuto assorbire l’incremento dei costi degli altri fattori produttivi senza poterlo interamente riversare sui prezzi finali dei beni e servizi venduti. Nonostante si siano registrati dei margini stazionari, la redditività operativa appare in miglioramento rispetto al 2022, attestandosi al 6,8%, contro un 6,3%".
Sotto il profilo finanziario, si conferma per le Top 500 un sostanziale stato di salute. "Il livello medio di capitalizzazione – spiegano dall’Università - ovvero l’ammontare delle risorse apportate dai soci rispetto al totale dei capitali investiti nell’impresa, è pari al 36%, indicando una buona solidità, peraltro in crescita rispetto al 2022 (33%). Le aziende ricorrono al capitale proprio alla luce delle attuali condizioni di accesso al credito. In calo l’indice di copertura degli oneri finanziari, che passa da 22 nel 2022 a 11 nel 2023, rimanendo, tuttavia, ben al di sopra dei valori soglia di riferimento.
Per analizzare le prestazioni per classe dimensionale, le Top 500 sono state divise tra grandi, medie e piccole imprese sulla base dei criteri adottati dall’Ue.
Seguendo questa classificazione, il campione si compone di 184 imprese grandi, 290 medie e 26 piccole. Rispetto al 2022, risulta aumentata l’incidenza delle grandi, che passano dal 32% al 37%, mentre è scesa al 58% quella delle medie (62% nel 2022).
Il confronto dei risultati economici indica prestazioni allineate per imprese grandi e medie, con valori di crescita del fatturato per le grandi mediamente pari al 6,8% contro il 6,6% delle medie.
Le piccole imprese presentano tassi di crescita più elevati (mediamente 12%), ma una marginalità inferiore, con un indice Ebitda/Ricavi fermo al 4,9%. Nell’interpretare i risultati di crescita è necessario tener conto dell’impatto dimensionale, per cui imprese più piccole crescono più rapidamente delle grandi per tutta una serie di fattori e soprattutto per le loro dimensioni che permettono di accorciare il processo decisionale.
Per la redditività, sono le imprese medie a mostrare i valori più alti, pari al 7,6% (6,8% nel 2022) contro il 6,2% delle grandi (4,8% nel 2022) e il 4,8% delle piccole (7,8% nel 2022). Guardando agli aspetti finanziari, le grandi hanno livelli di capitalizzazione più elevati, mediamente pari al 38% (34% nel 2022), seguite dalle medie con 35% (35% nel 2022) e dalle piccole con 33% (23% nel 2022).
In tutti i casi, anche per le piccole più indebitate, il costo del debito appare mediamente sostenibile tenuto conto della ricchezza generata.
Le imprese medie sono quelle che garantiscono la copertura degli oneri finanziari più elevata, con un indice di copertura pari a 12, seguite dalle grandi e dalle piccole con 9.
Lisa Ciardi