FIRENZE
Dalla passione per le cravatte, tale da spingerlo a realizzare una propria collezione, al mercato mondiale: aveva 20 anni Stefano Ricci quando, nel 1972, insieme alla moglie Claudia, ha investito tutto su se stesso per creare un’azienda che avesse come valori di riferimento la qualità assoluta, la lavorazione manuale e il vero made in Italy. Oggi Stefano Ricci Spa è un gruppo lifestyle internazionale, con più di 700 dipendenti nel mondo e sede sulle colline di Fiesole, in una struttura produttiva di oltre 10.000 metri quadri. Primeggia nella produzione di abbigliamento e luxury lifestyle maschile, ha 73 boutique monobrand, oltre 20 Shop-in-Shops e dal 2022 un fashion-show nel tempio di Hatshepsut a Luxor, Egitto. Ne parliamo con Niccolò Ricci, figlio del fondatore.
Qual è il segreto di un successo che dura da più di 50 anni?
"La perseveranza che hanno avuto, sin da subito, i miei genitori nel concepire un’attività con una visione molto chiara. Mio padre Stefano ha saputo trasformare la sua passione in ogni singolo dettaglio del guardaroba maschile, senza mai compromettere l’integrità del brand con liquidazioni di fine stagione o seconde linee".
È un’azienda nata e tuttora fondata sulla famiglia e sul territorio. Avete mai avuto tentazioni di quotarvi in Borsa?
"Firenze è il nostro più elegante biglietto da visita, ma anche la radice di un heritage che il mondo ci invidia. Oggi la società è saldamente nelle mani della nostra famiglia, ma cerchiamo di gestirla come se fosse quotata. In passato c’è stato un avvicinamento a un progetto di quotazione, così come abbiamo ricevuto varie proposte di partnership".
Il 2023 è stato un anno record, anche sul fronte internazionale.
"L’internazionalità è nel nostro Dna. Produciamo al 100% in Italia e vendiamo prevalentemente all’estero. Il 2023 è stato l’anno di maggior fatturato, con una crescita complessiva del 43% e un fatturato sopra i 200 milioni di euro. La crescita maggiore è stata in Greater China (+90%)".
Quanto è importante la sostenibilità?
"E’ centrale nella vita sociale, dalla produzione alle certificazioni. Non è uno slogan: è un impegno concreto assunto per le future generazioni. Dall’utilizzo di coloranti naturali, tipico di produzioni limitate nei numeri, a un miglior efficientamento energetico per acqua e elettricità, potendo lavorare in ambienti open space e con ampie vetrate che assicurano luce naturale, fino all’impianto fotovoltaico. La sostenibilità della quale andiamo maggiormente fieri è quella sociale: produrre in Italia significa rispettare leggi e procedure certificate, anche nella filiera; significa assicurare occupazione e pagare le tasse in Italia. E l’occupazione rappresenta anche la possibilità, per i nostri collaboratori, di progettare un futuro per i propri figli, oltre a tramandare antichi saperi di manifattura che altrimenti finirebbero dispersi".
Siete molto attenti anche all’aspetto sociale.
"Non ci sentiamo filantropi, ma teniamo a cuore progetti che aiutano chi ha davvero bisogno, anche con progetti internazionali, con le collezioni fotografate negli angoli più affascinanti e remoti del pianeta, sostenendo progetti tra i quali Charles Darwin Foundation e Kazakh Falconry Association".
Sul fronte digitalizzazione? "Avviata verso la metà degli anni Dieci, ha subito un’accelerazione con la diffusione delle attività e-commerce, ma soprattutto come effetto post-pandemico. Abbiamo reagito al Covid sviluppando il nostro show-room virtuale: originariamente pensato come implementazione del B-2-B, è diventato B-2-C, dal rapporto coi direttori delle boutique a quello col consumatore. Nella piattaforma il cliente può visionare l’intera collezione e procedere con gli ordini, anche se poi il tutto viene finalizzato attraverso la nostra rete commerciale anche in presenza". Manuela Plastina