Belle e imponenti, a due passi dal mare. Non passa inverno che le sue vette più alte non vengano imbiancate dalla neve (a dire il vero sempre più rara e sempre meno persistente) ma c’è stato un tempo che tra questi monti dimorava una dozzina di ghiacciai. E se nella parte meridionale, caratterizzata da bassi rilievi, non ne sono state trovate tracce, di ghiacciai nella zona più settentrionale delle Alpi Apuane, dove ci sono le vette più alte tra la Pania e il Magra, se ne inizia a parlare nel 1872, quando è scoperta la morena nella valle di Arni.
Per i geologi, depositi morenici, ghiaie e rocce non hanno segreti, parlano e raccontano di quello che fu. Tra massi erranti di grezzoni, schisti, gneiss, depositi ciottolosi, calcari, selci, si può leggere quello che accadde da circa 1,8 milioni di anni fa (nel Quaternario-Pleistocene) fino all’ultima glaciazione, quella di Wurm (tra i 100mila e i 10mila anni fa), con l’azione glaciale che ha modellato l’intera catena montuosa come ancora oggi dimostrano i circhi glaciali, i valloni arrotondati, i depositi morenici frontali.
Diversamente dalle Alpi, qui le tracce non sono molto accentuate perché i ghiacciai si sono formati poco prima che le mutate condizioni climatiche ne determinassero la loro scomparsa, quindi la loro vita geologica è stata breve. L’area glaciale è localizzata nelle quote più alte del versante nord-orientale dove, oltre al maggiore freddo e a maggiori precipitazioni, i pendii più dolci ne hanno favorito accumulo e formazione.
Le zone più tipiche sono quella tra il Pizzo d’Uccello e il Sumbra, quella di Arni (tra passo del Vestito e Altissimo), quella tra il Corchia e le Panie. Da non molto è stata riconosciuta glaciale anche la zona più occidentale, tra i monti Borla e Sagro, dove il ghiacciaio di Campocecina scendeva da foce Pianza fino al Balzone. Gli studi hanno portato alla individuazione del ghiacciaio della Pania Secca (lungo circa 1800 metri, un fronte di 600 e scarsamente alimentato); mentre la foce di Mosceta, tra la Pania della Croce e il Corchia, una conca glaciale testimonia un ghiacciaio che ha camminato per un paio di chilometri. E dal Corchia scendeva anche il ghiacciaio del Puntato (lungo tra i 1200 e i 2300 metri, con un fronte di 400), l’unico ghiacciaio delle Apuane più volte diviso in diversi rami a causa di alcuni rilievi sul suo cammino.
E sempre dal Corchia veniva già anche il piccolo ghiacciaio dei Paduli, lungo solo un chilometro. Molto più ricca di ghiacci era la valle di Arni, con una lingua estesa fino a 3700 metri, mentre era lungo oltre sei chilometri quello del monte Sumbra. Non sono documentati ghiacciai scesi dal monte Altissimo mentre nella parte bassa della Tambura partiva un ghiacciaio di 2300 metri che, arrivato in corrispondenza dell’odierna Vagli di Sotto, si congiungeva con il ghiacciaio del Sumbra. E dallo sperone della Roccandagia (versante Garfagnana della Tambura) si trovano i resti meglio conservati dei ghiacciai apuani. E anche questo, seppure più piccolo, finisce a Vagli di Sotto, insieme a quelli della Tambura e del Sumbra che poi hanno dato origine alla vallata di Campocatino.
Dal monte Pisanino, il più alto delle Apuane (e per questo nell’800 era anche chiamato Pizzo Maggiore) ne scendevano tre e tra i più lunghi, visto che uno di essi misurava tra i 5 e 7 chilometri di lunghezza. Tra gli altri ghiacciai c’erano anche quelli di Gramolazzo (tra i 3 e 4 chilometri) tra Pizzo d’Uccello, Grondilice, Cavallo e Pisanino; delle Mandrie (tra i 4 e i 5 chilometri) che si sciolse prima di confluire in quello di Gramolazzo; della valle di Vinca (di piccole dimensioni, che scendeva dal Solco di Equi).
Non risultano ghiacciai nel versante a mare della Tambura, in quanto il pendio è troppo ripido, mentre uno di poco più di un chilometro scendeva dal monte Macina. Tra il Pisanino, il Cavallo e la Tambura, più ad oriente del ghiacciaio di Gramolazzo, scendeva il ghiacciaio di Gorfigliano, di lunghezza di poco inferiore ai 6 chilometri.
Maurizio Munda