In città ogni innovazione tecnologica ha dovuto sempre vincere una iniziale diffidenza, se non una vera e propria avversione, da parte di chi vedeva nel progresso un attacco alla propria attività. Così è stato per la ferrovia marmifera (nella foto), per il pontile alla Marina, per i primi opifici costruiti da imprenditori stranieri, quasi che la tecnologia fosse un nemico.
I primi episodi di cui si ha notizia avvengono alla metà del XIX secolo quando, Andrea Del Medico nel 1845 e il fratello Carlo nel 1852, chiedono la concessione per la costruzione di una ferrovia che vada dalle cave al mare. Il primo tentativo è autorizzato da Francesco IV ma resta solo un progetto sulla carta. Il secondo è autorizzato da Francesco V ma deve fare i conti con la rabbia dei lizzatori che nella realizzazione della strada ferrata vedono a rischio il proprio mestiere che esiste da secoli.
Così mentre ingegneri e operai sono al lavoro, vengono presi di mira con insulti, i picchetti posizionati per i rilievi topografici sono rimossi da ignoti, si registrano furti a ripetizione di attrezzature e materiali, al punto che i Del Medico devono assoldare guardiani. I lavori si fermeranno e di ferrovia se ne riparlerà solo dopo l’Unità d’Italia. Nel 1913 sono i bovari a compiere un attentato alla Ferrovia Marmifera (il primo tratto, fino a Miseglia e Torano, era stato inaugurato nel 1876, mentre Avenza è unita ai pontili di Marina e nel 1866 è aperto il tratto tra Avenza e Carrara San Martino).
Nel 1890 è inaugurato anche l’ampliamento di 20 chilometri che porta la ferrovia anche in altri bacini. Il tentativo di far saltare una arcata dei ponti di Vara provoca danni e i sospetti ricadono sui bovari che temono che la macchina tutta acciaio e carbone porti al pensionamento dei buoi e dei carri, il sistema di trasporto usato da un paio di millenni. Alcuni piloni restano danneggiati (verranno puntellati) e la ferrovia marmifera viene fermata per il periodo necessario al ripristino, ma i lavori saranno conclusi definitivamente solo nel 1932.
Alla Marina sono i caricatori a temere la crisi del proprio mestiere con il nuovo pontile realizzato tra il 1851 e il 1855, finanziato da un gruppo di industriali inglesi e dotato anche di una gru per il sollevamento dei marmi. L’opera riduce notevolmente i tempi di carico dei navicelli che fino a quel momento richiedevano lunghe e laboriose operazioni per trarli in secca sulla spiaggia. Quando il pontile è ancora da ultimare, un incendio interessa la struttura in legno. L’incendio è presto domato grazie alla prontezza e all’agilità di un uomo che, tra storia e leggenda, si getta in mare per tagliare i legni, impedendo così il propagarsi delle fiamme. Neppure gli imprenditori si salvano da questa “tradizione”.
Nel 1837 William Walton acquista alcune cave dai Del Medico ma i grandi industriali carraresi del tempo inviano una nota di protesta al sovrano Francesco IV dove accusano l’inglese di monopolio. Ancora nel 1855 Walton acquista terreni all’asta in località Groppoli e Puccinetta: l’obiettivo è la costruzione di due opifici che sfruttino l’energia idrica del Carrione. La forte opposizione degli imprenditori carraresi provoca ritardi nelle pratiche burocratiche per l’acquisto dei terreni, mentre per tutti i permessi ci vogliono ben 4 anni.
I più intraprendenti in questa guerra sono i Fabbricotti e una causa legale andrà avanti per 26 anni e sarà conclusa solo dagli eredi. Le due segherie entrano invece in funzione prima e nel 1861 una turbina di 75 cavalli aziona 12 telai ai quali sono collegate da 300 a 360 lame. E’ l’inizio della meccanica moderna nella segagione.
Maurizio Munda