di Angela Maria Fruzzetti
Siamo a Forno, paese dell’entroterra massese che racconta la storia della “fabbrica delle donne”, ovvero l’antica filanda di cotone, costruita tra il 1880 e 1890 e avviata nel 1879. Nasce sopra uno sperone roccioso di fondovalle dalla lungimiranza dell’ imprenditore savonese, Prospero Schiaffino, venuto a conoscenza di un luogo caratterizzato da una sorgente, il Frigido, in grado di fornire acqua per tutto l’anno. L’imprenditore decise di acquistare l’intera area: un gesto che condizionerà il destino di tutto il paese.
Le condizioni socio-economiche precarie nelle quali versava Forno diedero modo a Schiaffino di poter usufruire di manovalanza a prezzo irrisorio ma l’infelice posizione geografica ostacolò le fasi di costruzione. L’imprenditore vendette la fabbrica e i lavori furono portati a termine dal conte Ernesto Lombardo. In questo paese incuneato tra rocce, acqua e boschi si ripeté alla fine dell’800 quel fenomeno che agli albori del XIX secolo aveva caratterizzato l’economia inglese: la rivoluzione industriale. Dunque, il Conte Lombardo si trovò a disposizione tutto l’occorrente per avviare l’opificio: forza lavoro a basso costo, energia idrica per i macchinari e vie di comunicazione: venne costruita una ferrovia/tramvia non solo per il trasporto merci ma anche per i passeggeri.
In quell’epoca vennero eretti edifici che ospitavano alloggi per gli operai della filanda: il palazzo che sovrasta la fabbrica che alloggiava i dirigenti e il palazzo operaio per i lavoratori più umili in paese. La “cittadella della filanda”, in quel contesto povero, cambiò rapidamente le condizioni del paese. Forno passò dai 500 abitanti dell’inizio dell’800 ai 1000 dell’inizio della costruzione della Filanda e ai quasi 2000 dell’inizio del ‘900, con gente che proveniva dalle vicine Carrara, Seravezza, Sarzana, Liguria e anche Piemonte, con gravi disagi sull’aspetto abitativo. La manodopera femminile in fabbrica superava di gran lunga quella maschile in quanto la produzione richiedeva mani esili e sottili per la lavorazione del filato. Dunque, il tessuto del paese era stato modificato e migliorò la vita sociale, ma la fabbrica rimase un colosso a sé stante, non creando alcun collegamento con l’economia locale.
La Filanda chiuse i battenti nel 1942 per mancanza di materie prime e divenne magazzino della Regia Marina. Il 29 luglio 1944 venne minata con bombe incendiarie dalle truppe naziste e abbandonata. Nel 1983 fu acquistata dal Comune di Massa con restauro della palazzina di facciata e nel 1996 partì un progetto per gli edifici retrostanti, purtroppo mai terminato.
Ad oggi resta un rudere abbandonato a raccontare un’importantissima memoria storico- economica per l’intera provincia classico esempio di archeologia industriale che andrebbe recuperato.