Perugia, 8 aprile 2010 - Sostituire il corpo del medico ucciso significava, secondo la versione accusatoria, "apporre un sigillo di intangibilità della versione ufficiale 1985 sulla morte del Narducci, versione che, nonostante tutto, ha comunque retto per sedici anni". Dopo due giorni di requisitoria no-stop, dopo dieci anni di indagini, veleni e polemiche, il pubblico ministero Giuliano Mignini chiede al giudice Paolo Micheli di mandare a giudizio venti imputati.
Solo i parenti e personaggi delle Istituzioni devono rispondere dell’associazione per delinquere costituita la notte della scomparsa del medico - l’8 ottobre del 1985 - tra Ugo e Pierluca Narducci, rispettivamente padre e fratello, l’allora questore Francesco Trio, l’avvocato Alfredo Brizioli (che ha rinunciato alla prescrizione), l’allora comandante del nucleo elicotteri di Arezzo dei vigili del fuoco, Adolfo Pennetti Pennella e l’allora dirigente della Divisione Polizia Giudiziaria della Questura di Perugia, Luigi De Feo (a questi si sono, poi, aggiunti, come concorrenti esterni, Mario Spezi, Rinaldi e l’avvocato Antonio Brizioli).
Gli altri imputati invece sono accusati di episodi minori che però, nell’ottica della procura, rientrano nei cosidetti ‘depistaggi’. Il ventesimo imputato, un medico, ha scelto il rito abbreviato e il sostituto procuratore ne ha chiesto la condanna a un anno di reclusione per false dichiarazioni mentre per il 21esimo il processo è stato sospeso perché affetto da una patologia.
Complessivamente i capi di imputazione contestati sono venti: solo per due (episodi di calunnia) il magistrato ha sollecitato l’assoluzione per intervenuta prescrizione. Secondo la ricostruzione fatta dal pm in aula l’associazione doveva "occultare in maniera irreversibile per gli anni avvenire quella morte" e ciò "implicava la necessità dell’organizzazione di una clamorosa messinscena, quale quella del ‘doppio cadavere’, e il fatto che questa fiction, dovesse perdurare negli anni nonostante tutti i possibili e prevedibili tentativi che avrebbero potuto essere posti in atto da parte della Procura di Firenze, nel corso di immaginabili approfondimenti della vicenda criminale fiorentina, ma anche, col passare del tempo, della stessa Procura di Perugia, magari su impulso della vedova del medico (l’unica parte civile tra i familiari, ndr) e della famiglia della stessa, tutto questo, si diceva, non poteva essere frutto della spontanea azione di questo o quel personaggio comunque coinvolto nella vicenda".
I tre aspetti fondamentali su cui si basa l’intero impianto - presupposti delle ‘coperture’ - sono sostanzialmente tre, chiarisce Mignini: "la morte di Narducci per omicidio, la connessione con la vicenda del ‘Mostro di Firenze’ e il ‘doppio cadavere’. "Tutti - ad avviso del pm - decisamente e clamorosamente confermati dalle indagini, che sono ineliminabili e che si sostengono a vicenda".
Inoltre, è sempre l’opinione del pm, l’associazione per delinquere ‘nata’ 25 anni fa "non si scioglie una volta raggiunto lo scopo". "Il pericolo che l’impalcatura crollasse c’era sempre, era sempre in agguato, specie quando, liquidata la ‘pista sarda’, le indagini imboccano il sentiero di Pacciani e, poi, dei “compagni di merende”, investendo pericolosamente il contesto fiorentino, quello nel quale è coinvolto il Narducci".
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